Sanzionato con l’avvertimento – e non con la censura – l’avvocato che, dopo la revoca del mandato professionale, non aveva restituito i documenti delle pratiche al cliente ed al nuovo legale subentrante. Al di là dell’epoca dei fatti contestati, va in tal caso applicato il nuovo codice deontologico forense, poiché le norme contenute in quest’ultimo valgono anche per i procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato.
In altre termini, nel fissare il momento di transizione dall'operatività del vecchio al nuovo codice deontologico, la legge professionale n. 247/2012, sancisce espressamente che la successione nel tempo delle norme dell’allora vigente e di quelle dell’allora emanando nuovo codice deontologico ( e delle ipotesi di illeciti e di sanzioni da esse rispettivamente contemplate), deve essere improntata al criterio del “favor rei”.
In tale prospettiva, deve pertanto constatarsi che il nuovo codice deontologico forense - approvato il 31 gennaio 2014, pubblicato il 16 ottobre 2014 ed entrato in vigore il 15 dicembre 2014 – presenta, tra le sue principali innovazioni, la tipicizzazione degli illeciti e la predeterminazione delle sanzioni correlativamente applicabili. Orbene, la condotta di cui agli addebiti nella specie contestati, risulta contemplata dall'art. 33 comma 1 del suddetto codice, che espressamente la sanziona con l’avvertimento, e non con la più grave censura (invece irrogata all'avvocato incolpato, qui ricorrente).
E’ tutto quanto si legge nella sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, n. 13982 del 6 giugno 2017.
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