La Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, ha ritenuto legittima la sanzione dell’avvertimento, irrogata dal COA e confermata dal Consiglio nazionale forense, a carico di un avvocato che aveva riportato nel sito del proprio studio, a fini pubblicitari, l’elenco dei principali clienti assistiti (seppur con il loro consenso).
Avverso la sanzione il professionista si era rivolto alla Corte Suprema, lamentando la violazione del D.l. n. 223/2006 (c.d. Decreto Bersani), che ha sancito l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, il prezzo ed i costi complessivi delle prestazioni.
Orbene – precisa la Corte – l’attività dell’avvocato, in quanto libero- professionale, non è sottratta al principio dell’ammissibilità della pubblicità informativa di cui al Decreto Bersani. Tuttavia l’ambito concreto di tale principio va considerato e declinato alla luce delle peculiarità della suddetta professione, non essendo l’avvocato sono un libero professionista ma anche un necessario partecipe all'esercizio diffuso della funzione giurisdizionale. E detta stretta connessione tra attività forense ed esercizio della giurisdizione impone una maggiore cautela in materia.
E’ proprio la valenza pubblicistica dell’attività forense – proseguono le Sezioni Unite con sentenza n. 9861 del 19 aprile 2017 – a spiegare perché il rapporto tra il professionista ed il cliente rimanga scarsamente influenzabile dalla volontà e dalle considerazioni personali (o valutazioni economiche) degli stessi protagonisti e come non possa risultare dirimente – nel senso di escludere il relativo divieto – il consenso prestato dai clienti del medesimo avvocato alla diffusione dei propri nominativi a fini pubblicitari.
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