Esclusa la possibilità per le associazioni professionali e le Stp di partecipare ad un’associazione tra professionisti già costituita. Vige la regola secondo la quale il socio professionista può partecipare soltanto ad una Stp.
Lo chiarisce il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC), con il pronto ordini n. 169 del 18 marzo 2019, ricordando che la costituzione e partecipazione di un’associazione professionale, anche multidisciplinare, rappresenta una prerogativa dei professionisti persone fisiche che risultano iscritti in albi o elenchi tenuti da Ordini o Collegi.
L’Ordine di Busto Arsizio ha chiesto al CNDCEC se:
Per rispondere alle domande poste, il CNDCEC muove la sua analisi dall’art. 10 della L. n. 183/2011, che nulla dice con riguardo alla partecipazione in altre Stp ovvero in associazioni professionali. Tuttavia, dal tenore letterale della richiamata disposizione risulta di una certa evidenza che sia stata premura del legislatore consentire la partecipazione del socio - anche non professionista - ad una sola Stp, sia monodisciplinare che multidisciplinare.
Non sembrano, di contro, ravvisarsi nell’ordinamento indici normativi contrari all’esercizio della professione in forma individuale da parte del socio e all’esercizio della professione in forma associata.
Dunque, per quanto riguarda la partecipazione di una Stp o di un’associazione professionale ad altra associazione professionale, il CNDCEC ricorda innanzitutto quanto previsto dalla L. n. 183/2011, ed in particolare dall’art. 10, co. 9 e 11.
Tali disposizioni normative hanno, da un lato, abrogato la disciplina dettata, anche in materia di associazioni professionali, dalla L. n. 1815/1939 e successive modificazioni, dall’altro, individuato le associazioni professionali, nonché i diversi modelli societari, già vigenti alla data di entrate in vigore della L. n. 183/2011.
Al fine di chiarire il significato di tali interventi, il documento richiama l’interpretazione che le Sezioni Unite della Cassazione avevano dato all’art. 1 della L. n. 1815/1939, ossia all’esercizio in forma associata delle professioni. In particolare, secondo le Sezioni Unite, la L. n. 1815/1939 aveva avuto il pregio di individuare precipui criteri da osservarsi per l'esercizio in forma associata della professione, senza prevedere alcunché in ordine alla disciplina applicabile: lo scopo perseguito dalla menzionata legge era stato semplicemente quello di evitare che una denominazione non coincidente con la qualificazione professionale risultante dai titoli o dalle autorizzazioni degli associati potesse indurre in equivoco i terzi, mascherando un'attività non corrispondente a quella abilitata, quindi sfornita delle necessarie garanzie tecniche.
In altri termini, la Corte di Cassazione riconosceva alla disposizione il pregio di consentire, per tramite dell'esplicita indicazione del nome e del titolo professionale, l'individuazione dell'associato in possesso del titolo abilitante necessario per esercitare la professione. Si trattava, a ben vedere, di requisiti formali da cui non si poteva prescindere per l'esercizio della professione in forma associata.
In definitiva, l’abrogazione della L. n. 1815/1939 e le successive modifiche apportate devono essere interpretate nel senso che il legislatore non impone alcuna rigida formalità per individuare la denominazione dell’associazione professionale.
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