Assistenza ai portatori di handicap grave. I permessi secondo le novità di legge e le interpretazioni ministeriali
Pubblicato il 03 luglio 2014
L’accertamento della disabilità e la certificazione provvisoria
Condizione necessaria affinché il lavoratore dipendente possa fruire dei permessi mensili di cui all’art. 33, comma 3,
Legge n. 104/1992, è il riconoscimento del soggetto da assistere quale portatore di
handicap grave.
Tale riconoscimento deve essere fatto dalla
Commissione medica istituita presso le ASL, integrata da un operatore sociale ed un esperto nei casi da esaminare.
L’art. 2, comma 3-bis, D.L. n. 324 del 27 agosto 1993, convertito con modificazioni dalla Legge n. 423 del 27 ottobre 1993, come da ultimo modificato dall’art. 25 del
D.L. n. 90/2014, stabilisce che la Commissione in questione si pronunci
entro 90 giorni dalla data di presentazione della domanda.
Tuttavia, nel caso in cui la stessa non si pronunci
entro 45 giorni dalla presentazione della domanda, gli accertamenti possono essere effettuati,
in via provvisoria, da un medico specialista nella patologia denunciata, in servizio presso la ASL da cui è assistito il soggetto disabile (art. 2, comma 2, Legge n. 423/1993).
Sempre il D.L. n. 90/2014 ha previsto la possibilità che la certificazione provvisoria sia richiesta dall’interessato, direttamente alla Commissione medica, alla conclusione della visita.
L’INPS, con la circolare n. 32 del 3 marzo 2006, ha specificato che, per fruire dei giorni di permesso sulla base dell’accertamento provvisorio, il lavoratore che intende assistere il portatore di handicap grave deve dichiarare di essere consapevole che, in caso di
provvedimento definitivo negativo, è tenuto alla restituzione di quanto fruito; infatti, qualora la Commissione non riconosca la sussistenza della gravità della disabilità, le prestazioni erogate saranno oggetto di recupero, perché divenute indebite.
In caso di
patologie oncologiche, la certificazione provvisoria può essere utilizzata già dopo che siano trascorsi 15 giorni dalla domanda alla Commissione Medica Integrata mentre, per i soggetti con
sindrome di Down, il riconoscimento della disabilità grave può essere anche dichiarata dal medico di base, su richiesta corredata da presentazione del cariotipo.
Infine, per i
grandi invalidi di guerra ed i soggetti ad essi
equiparati, la situazione di gravità può essere attestata dalla documentazione rilasciata agli interessati dai Ministeri competenti al momento della concessione dei benefici pensionistici.
Il ricovero
Altra condizione necessaria per la fruizione dei permessi in questione è che il disabile non sia ricoverato a tempo pieno, intendendo per tale il ricovero per le
intere ventiquattro ore, presso strutture ospedaliere o simili, pubbliche o private, che assicurano
assistenza sanitaria continuativa (INPS, circolare n. 155 del 3 dicembre 2010).
Vi sono tuttavia le seguenti situazioni che costituiscono
eccezione:
- interruzione del ricovero a tempo pieno per necessità del disabile in situazione di gravità di recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie appositamente certificate;
- ricovero a tempo pieno di un disabile in situazione di gravità in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine;
- ricovero a tempo pieno di un minore con disabilità in situazione di gravità per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura ospedaliera il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare, ipotesi già prevista per i bambini fino a tre anni di età.
Gli aventi diritto
Con la modifica apportata all’art. 33, comma 3, Legge n. 104 del 5 febbraio 1992, il diritto a fruire dei permessi mensili spetta:
- al
coniuge;
- ai
parenti ed affini del disabile, entro il secondo grado, genitori compresi;
- ai
parenti ed affini di terzo grado, solo qualora i genitori o il coniuge della persona in situazione di disabilità grave abbiano compiuto i 65 anni oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
Come chiarito dall’Inps con circolare n. 155/2010 e ribadito recentemente dal Ministero del Lavoro con l’i
nterpello n 19 del 26 giugno 2014, la possibilità di
passare dal secondo al terzo grado di assistenza, si verifica anche nel caso in cui uno solo dei soggetti menzionati (coniuge, genitore) abbia compiuto i 65 anni di età o sia assente o deceduto o sia affetto da patologie invalidanti, a nulla rilevando invece - in quanto non richiesto - il riscontro della presenza nell’ambito familiare di parenti o affini di primo e di secondo grado.
Infatti, come l’interpello citato sottolinea, non solo nella norma il legislatore ha utilizzato la congiunzione disgiuntiva (“qualora
i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti”) ma, consentire l’estensione al terzo grado solo quando tutti i soggetti prioritariamente interessati (coniuge, parente o affine entro il secondo grado) si trovino nell’impossibilità di assistere il disabile, finirebbe per restringere fortemente la platea dei soggetti interessati.
Il referente unico
Il nuovo art. 33, comma 3 della Legge n. 104/1992 stabilisce che la possibilità di fruire dei giorni di permesso per l’assistenza alla stessa persona in situazione di disabilità grave, non può essere riconosciuta a più di un lavoratore dipendente.
Conseguentemente, deve essere individuato un
referente unico per ciascun disabile grave che è il soggetto che può usufruire dei permessi mensili.
L’unica deroga ammessa alla regola del “referente unico” è rappresentata dai
genitori, anche adottivi, di figli con disabilità grave, ai quali è riconosciuta la possibilità di fruire dei permessi alternativamente ma sempre nel limite dei tre giorni mensili per soggetto disabile.
Sulla questione referente unico è, tuttavia, interessante la risposta all’interpello n. 32 del 9 agosto 2011 del Ministero del Lavoro in cui è stato chiarito che, qualora il disabile assuma il domicilio, anche solo per un determinato periodo di tempo, presso la residenza di diversi parenti entro il secondo grado, il referente unico può cambiare ma è necessario che ciascun avente diritto presenti, di volta in volta, l’istanza per ottenere il riconoscimento dei permessi di cui all’art. 33, Legge n. 104/1992, al fine di prestare legittimamente la dovuta assistenza.
Quindi, in definitiva, il referente deve essere “unico”
in relazione al disabile da assistere ed al periodo di assistenza, per cui è possibile che diversi soggetti aventi diritto si alternino nell’assistenza dello stesso disabile in periodi diversi.
L’espressione mancanti e le patologie invalidanti
L’espressione “
mancanti” utilizzata dal legislatore nel modificato art. 33, comma 3, Legge n. 104/1992, ricomprende:
- l’assenza naturale e giuridica, come nel caso di celibato o stato di figlio naturale non riconosciuto;
- ogni altra condizione assimilabile, continuativa e debitamente certificata dall’autorità giudiziaria o da altra autorità, quale divorzio, separazione legale o abbandono.
Per quanto concerne, infine, le
patologie invalidanti, l’INPS ha ritenuto che, in assenza di un’esplicita definizione di legge e sentito il Ministero della Salute, ai fini dell’individuazione di tali patologie occorre fare riferimento soltanto a quelle, a carattere permanente, indicate dall’art. 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del D.I. n. 278 del 21 luglio 2000, che individua le ipotesi in cui è possibile accordare il congedo per gravi motivi di cui all’art. 4, comma 2, Legge n. 53 dell’8 marzo 2000.
Norme e prassi
Art. 33, comma 3, Legge n. 104 del 5 febbraio 1992
Art. 2, commi 2 e 3-bis, D.L. n. 324 del 27 agosto 1993, convertito dalla Legge n. 423 del 27 ottobre 1993
Art. 4, comma 2, Legge n. 53 dell’8 marzo 2000
Art. 2, comma 1, lettera d), numeri 1, 2 e 3 del D.I. n. 278 del 21 luglio 2000
Art. 25 del D.L. n. 90/2014
INPS, circolare n. 32 del 3 marzo 2006
INPS, circolare n. 155 del 3 dicembre 2010
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, interpello n. 32 del 9 agosto 2011
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, interpello n 19 del 26 giugno 2014