Assenza ingiustificata e rifiuto alla ripresa del lavoro: licenziamento

Pubblicato il 29 ottobre 2021

Legittimo il licenziamento del lavoratore che, dopo un'assenza ingiustificata, rifiuti di riprendere servizio a fronte dell'invito reiteratamente ricevuto dal datore di lavoro.

Con ordinanza n. 30586 del 28 ottobre 2021, la Corte di cassazione ha rigettato il motivo di doglianza con cui un dipendente, con mansioni di autista, aveva impugnato la decisione di merito confermativa del suo licenziamento disciplinare.

Licenziamento per assenza ingiustificata e rifiuto al rientro in servizio

Il prestatore si era rivolto ai giudici di legittimità lamentando la nullità della sentenza impugnata, a suo dire inficiata dalla mancata considerazione del materiale istruttorio acquisito, dal travisamento e comunque dall’errata ponderazione del medesimo.

Secondo la sua difesa, tale materiale avrebbe dovuto, al contrario, essere considerato idoneo ad attestare, per il periodo per il quale gli era stata addebitata l’assenza ingiustificata, la già intervenuta perdita del posto di lavoro, così come gli era stato prospettato durante un diverbio avuto con alcuni responsabili dell’azienda (che, in realtà, si erano rivelati essere dei soggetti privi di poteri di rappresentanza della società datrice).

Sulla base della ricostruzione dei fatti da egli operata, la contestazione disciplinare per assenza ingiustificata era artatamente volta a rendere l’apparenza di una volontà datoriale conservativa del rapporto, quando invece il licenziamento era di fatto già intervenuto.

Tali circostanze erano attestate dalla mancata comunicazione del completamento della riparazione dell’automezzo che aveva in dotazione per lo svolgimento dell’attività lavorativa e la relativa assegnazione ad altro autista assunto all’uopo.

Cassazione: grave il rifiuto del lavoratore

La Suprema corte ha giudicato tale motivo palesemente infondato, sottolineando l’assoluta illogicità della versione proposta dal ricorrente, fondata sulla configurazione dell’automezzo in dotazione come il posto di lavoro di sua spettanza.

Era, infatti, su questo presupposto che il prestatore era giunto a sostenere non solo che l’indisponibilità del mezzo per riparazione era tale da giustificare la sua assenza dal lavoro per tutto il tempo della durata dell’operazione, ma anche che il silenzio sul completamento della riparazione e l’assegnazione del veicolo ad altro autista era tale da esprimere la volontà risolutiva del rapporto da parte del datore.

Secondo gli Ermellini, per contro, era certamente più plausibile la ricostruzione operata dalla Corte territoriale, suffragata dal fitto carteggio tra la società datrice e il lavoratore, nell’ambito del quale era riscontrabile una contestazione disciplinare e il reiterato invito a riprendere servizio.

Elementi, questi, che riflettevano un’indubbia volontà conservativa del rapporto e l’assunzione da parte del ricorrente di un atteggiamento non adesivo all’invito del datore alla ripresa del lavoro.

Si trattava, con tutta evidenza, di una ricostruzione della vicenda che legittimava, ampiamente, in relazione alla palese gravità del rifiuto del lavoratore, la valutazione della Corte di gravame circa la ricorrenza della giusta causa legittimante l’intimato recesso.

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