La Corte di giustizia Ue si è pronunciata in ordine ad una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal TAR della Campania, che verteva sull’interpretazione dell’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici.
Tale domanda era stata sollevata in occasione di una controversia tra una Srl e il Comune di Napoli, in merito alla decisione di detto ultimo Ente di autorizzare altra società a proseguire la sua partecipazione a una gara d’appalto.
Il Comune aveva indetto questa gara per aggiudicare un appalto pubblico di servizi avente ad oggetto la refezione scolastica. Per l’anno scolastico precedente, l’Ente aveva già concluso con la seconda società un contratto per la medesima fornitura, contratto che, tuttavia, era stato risolto, a causa di casi di intossicazione alimentare.
La società aveva partecipato alla nuova gara dichiarando espressamente che, rispetto alla precedente, il Comune di Napoli aveva pronunciato la risoluzione del contratto ma che tale risoluzione contrattuale era stata contestata giudizialmente, dinanzi al Tribunale.
L’amministrazione aggiudicatrice l’aveva quindi autorizzata a proseguire la sua partecipazione alla gara con una determinazione che, tuttavia, era stata contestata dalla Srl ricorrente.
Il Tar, in detto contesto, aveva deciso di sospendere il procedimento e di chiedere alla Corte di giustizia se i principi comunitari di tutela del legittimo affidamento e di certezza del diritto, fossero impeditivi all’applicazione di una normativa nazionale, quale quella italiana derivante dall’art. 80 comma 5 lettera c) del Codice dei contratti pubblici.
Secondo tale normativa, si rammenta, la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico, assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce alla Pa che indice una nuova gara d’appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce.
E i giudici europei - con sentenza depositata ieri, causa C-41/18 - hanno risposto affermativamente al quesito, ritenendo, ossia, che le norme comunitarie siano ostative a una normativa nazionale siffatta.
Per la Corte di giustizia, in particolare, la disposizione contenuta nell’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici “non è idonea a preservare l’effetto utile del motivo facoltativo di esclusione previsto dall’articolo 57, paragrafo 4, lettera c) o g), della direttiva 2014/24”.
Il potere discrezionale conferito all’amministrazione aggiudicatrice da detto ultimo articolo - si legge nella decisione - è infatti “paralizzato dalla semplice proposizione da parte di un candidato o di un offerente di un ricorso diretto contro la risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico di cui era firmatario, quand’anche il suo comportamento sia risultato tanto carente da giustificare tale risoluzione”.
Senza contare che la norma italiana di cui all’articolo 80 citato, “non incoraggia manifestamente un aggiudicatario nei cui confronti è stata emanata una decisione di risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico ad adottare misure riparatorie”, con ciò contrastando con le prescrizioni di cui all’articolo 57, paragrafo 6, della menzionata direttiva.
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