Anche l'estraneo all'impresa può rispondere di bancarotta fraudolenta impropria

Pubblicato il 27 aprile 2011 La Corte di cassazione, con la sentenza n. 16388 del 26 aprile 2011, ha confermato la possibilità del concorso tra i reati di bancarotta fraudolenta e di truffa in quanto “l'obiettività giuridica delle distinte ipotesi delittuose è diversa e perché l'iter criminis della seconda si esaurisce con l'acquisizione di beni mediante mezzi fraudolenti, mentre il fatto dell'imprenditore truffaldino che sottragga successivamente alla garanzia patrimoniale le entità economiche illecitamente acquisite al suo patrimonio costituisce un'azione distinta ed autonoma, punita a titolo di bancarotta fraudolenta, se successivamente è dichiarato il fallimento dell'impresa”.

In linea teorica – continua la Corte – anche l'estraneo alla società può rispondere di bancarotta fraudolenta impropria qualora, insieme al manager, abbia determinato il dissesto finanziario dell'impresa. Tuttavia, perchè in capo a questo soggetto possa ritenersi configurato il reato di bancarotta è necessario che l'intero patrimoniale dei creditori sia stato depauperato, non essendo, per contro, sufficiente che la condotta abbia genericamente intaccato la ricchezza dell'azienda.

Per i giudici di Cassazione, infatti, “è integrativa del reato non già la sottrazione di ricchezza che costituisce l'offesa del reato, ma soltanto quella che reca danno alle pretese dei creditori”. In definitiva, l'offesa provocata dal reato non consiste nel “mero impoverimento dell'asse patrimoniale dell'impresa”, restringendosi alla “diminuzione della consistenza patrimoniale idonea a danneggiare le aspettative dei creditori” in quanto questi ultimi, “quali persone offese, sono invero l'indispensabile referente per lo scrutinio in discorso”.
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