Anche i costi in nero vanno in deduzione se risultano da elementi certi e precisi

Pubblicato il 11 settembre 2013 La Corte di cassazione, con la sentenza n. 37131 del 10 settembre 2013, ha annullato, con rinvio per un nuovo esame nel merito, la decisione con cui, nelle fasi precedenti, l'amministratore unico di una società era stato condannato per infedele presentazione della dichiarazione dei redditi e, in esecuzione del medesimo disegno criminoso in danno all'Erario, per omessa presentazione della dichiarazione con riferimento ad altro periodo di imposta.

L'imputato aveva avanzato ricorso dinanzi alla Suprema corte lamentando una violazione dell'articolo 190, comma 4, del DPR n. 917/1986; i giudici di merito, infatti, avevano ritenuto inapplicabile questa disposizione asserendo che l'imputato aveva dedotto il mancato superamento della soglia di punibilità limitandosi a produrre una quantità indiscriminata e scarsamente controllabile di fatture per acquisti, omettendo una qualsivoglia giustificazione in ordine alla mancata annotazione dei relativi costi.

Ai sensi della disposizione richiamata – ha ricordato la Suprema corte – le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli altri proventi che, pur non risultando imputati al conto economico, concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi. Il legislatore, ossia, ha inteso consentire la deduzione dei costi sostenuti al nero ove tali costi non risultino dalle scritture contabili ma da altri elementi, a condizione che questi ultimi siano certi e precisi.

Secondo la Corte, quindi, per escludere l'applicabilità della disposizione in questione non è sufficiente affermare che i costi riportati in deduzione non risultano dalle scritture contabili in quanto, qualora si abbia contezza degli stessi, è necessario procedere comunque alla loro valutazione, quanto meno al fine di evidenziare la mancanza del requisito della certezza e precisione della documentazione dalla quale emergono.

E nella specie, la Suprema corte ha ritenuto erronea la posizione assunta dai giudici di merito i quali avevano escluso l'applicabilità della norma in questione per il solo fatto che l'imputato non avesse mai fornito una benché minima ragionevole giustificazione della mancata annotazione in contabilità di detti costi.
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