Le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro, se munite della firma, della sigla o del timbro di quest'ultimo, hanno piena efficacia probatoria del rapporto di lavoro esistente e del credito insinuato.
Questo, in considerazione del loro contenuto, obbligatorio e penalmente sanzionato dall'art. 5 della Legge n. 4/1953 e ferma restando la facoltà della controparte di contestarne le risultanze con mezzi contrari di difesa o, semplicemente, con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l'inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice.
Lo ha precisato la Corte di cassazione, con ordinanza n. 17312 del 27 maggio 2022, richiamando un principio già enunciato, in materia, dalla giurisprudenza di legittimità.
Nel caso in esame, i giudici di Piazza Cavour hanno accolto il motivo di ricorso avanzato da una lavoratrice a cui era stata rigettata la domanda di insinuazione al passivo della Srl datrice di lavoro, in via privilegiata, del credito di lavoro a titolo di ferie non godute, di indennità di mancato preavviso e ratei relativi alla 13° e 14° mensilità e TFR.
La ricorrente, in particolare, aveva dedotto violazione e/o falsa applicazione di legge laddove il tribunale aveva ritenuto che le busta paga dalla stessa depositate in atti fossero inidonee a dimostrare la fondatezza della pretesa retributiva.
Secondo la sua difesa, per contro, una volta che il lavoratore produce le buste paga in giudizio è onere del datore di lavoro dimostrare l’insussistenza probatoria delle stesse in ordine ai crediti lavoristici maturati.
Motivo, questo, giudicato manifestamente fondato dagli Ermellini, per i quali, in tema di accertamento dello stato passivo, le buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro, ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del timbro di quest'ultimo, possono essere utilizzate come prova del credito oggetto di insinuazione.
Difatti, ai sensi dell'art. 3 della Legge sopra richiamata "la loro consegna al lavoratore è obbligatoria", anche se, in ogni caso, rimane ferma facoltà del curatore di contestarne le risultanze con altri mezzi di prova.
Nel caso in esame, il giudice di merito aveva errato a non attribuire alcun valore probatorio alle buste paga prodotte in giudizio dalla lavoratrice, non risultando, peraltro, dalla ricostruzione del decreto impugnato, che la curatela avesse in una qualche misura contestato in modo puntuale e specifico le risultanze di tali documenti con mezzi contrari di difesa o con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l'inesattezza.
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