I Comuni non hanno il potere di ostacolare o vietare arbitrariamente le attività di affitto turistico. Le locazioni brevi non possono essere assimilate alle strutture ricettive gestite in modo professionale, come le case vacanza, né considerate attività d'impresa.
È quanto affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza resa pubblica il 7 aprile 2025, che ha annullato un provvedimento comunale che imponeva restrizioni alle locazioni turistiche con contratti di breve durata.
Una cittadina lombarda ha presentato ricorso contro:
un provvedimento comunale che dichiarava irricevibile la sua comunicazione di offerta di locazione turistica per due immobili, motivando il rifiuto con la mancanza dei requisiti per uno e l’indeterminatezza della capacità ricettiva per l’altro;
un regolamento comunale adottato successivamente, che introduceva ulteriori obblighi e vincoli.
Il TAR ha accolto solo in parte il ricorso, annullando il provvedimento e gli articoli 5, 7, 8 e 10 del regolamento comunale, ritenendo:
assente la previsione di alternative per i parcheggi nelle nuove strutture;
mancata possibilità di proroga per l’adeguamento degli impianti;
sanzioni non proporzionate rispetto agli obblighi previsti.
Secondo il TAR, le locazioni turistiche costituiscono una categoria unitaria, fatta eccezione per i casi di affitti del tutto occasionali. Pertanto, gli immobili della ricorrente rientravano nelle case e appartamenti per vacanze regolati dalla legge regionale lombarda n. 27/2015, su cui i Comuni possono esercitare controlli e vigilanza, nel rispetto delle competenze istituzionali.
Il TAR ha ritenuto in astratto legittima la richiesta comunale di ulteriori documenti per uno degli immobili, ma ha giudicato l’atto confuso, carente di riferimenti normativi e non adeguatamente motivato.
Per l’altro immobile, ha ritenuto che l’attività turistica comportasse, anche in assenza di lavori, la necessità della CILA, configurando un mutamento urbanistico rilevante. Tuttavia, ha precisato che, essendo consentita la locazione di singole porzioni, non è applicabile l’obbligo di superficie minima, rendendo questa parte del provvedimento illegittima.
Infine, ha stabilito che, pur essendo il regolamento comunale posteriore al provvedimento contestato, esso influenzava la possibilità di ripresentare o regolarizzare la comunicazione. Ne è derivato l’annullamento del regolamento per violazione del principio di proporzionalità.
Nel suo ricorso al Consiglio di Stato, la ricorrente ha contestato la sentenza del TAR sotto vari profili, ritenendola giuridicamente scorretta e ingiusta. Ha articolato il suo appello in vari motivi principali, che possono essere così spiegati:
Il Consiglio di Stato nella sentenza n. 2928 pronunciata il 7 aprile 2025 chiarisce che, dopo la riforma costituzionale del 2001, il turismo è materia di competenza esclusiva delle Regioni, anche se lo Stato può intervenire in alcune materie “trasversali” come la tutela della concorrenza e l’ordinamento civile, che comprendono anche il diritto di affittare un immobile.
Il Decreto Legge 145/2023 stabilisce che:
In Lombardia, la legge regionale n. 27/2015 affida ai Comuni solo funzioni di vigilanza e controllo, senza riconoscere loro la possibilità di emanare regolamenti propri in materia turistica.
NOTA BENE: Per le locazioni turistiche non imprenditoriali, è sufficiente una comunicazione preventiva al Comune, senza necessità di autorizzazioni formali.
Infine, anche se l’attività non è imprenditoriale, gli immobili devono comunque rispettare le normative edilizie e igienico-sanitarie. Tuttavia, se questi requisiti mancano, il Comune può intervenire sull’immobile, ma non può vietare la stipula del contratto di locazione.
Il Consiglio di Stato riconosce che il TAR ha errato nel trattare la locazione turistica non imprenditoriale come se fosse una "casa vacanza", categoria riservata a vere e proprie strutture ricettive.
Secondo il quadro normativo vigente (nazionale e regionale), gli immobili affittati saltuariamente o senza fini imprenditoriali non rientrano nelle strutture ricettive e non devono quindi essere sottoposti alla stessa disciplina.
In sintesi, la semplice locazione turistica non richiede SCIA, ma solo una comunicazione (CIA), e non legittima poteri inibitori del Comune.
Il Consiglio di Stato censura anche la parte della sentenza del TAR in cui veniva considerata accettabile la richiesta del Comune di ulteriore documentazione oltre quella prevista dalla normativa regionale.
La ricorrente, infatti, aveva già fornito quanto richiesto.
Il Comune non può rifiutare la comunicazione solo perché mancano altri documenti non previsti dalla legge, e la mancanza di allegati non può giustificare una dichiarazione di irricevibilità.
Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2928/2025, ha annullato il provvedimento con cui il Comune vietava la locazione turistica, sottolineando che:
non si possono imporre obblighi extra oltre quelli previsti dalla comunicazione (CIA);
non si può impedire la stipula di contratti turistici per immobili residenziali, se non ci sono violazioni edilizie specifiche.
Eventuali controlli devono riguardare solo l’immobile, non la libertà del proprietario di affittarlo.
La sentenza del Consiglio di Stato rappresenta un precedente giurisprudenziale importante in materia di locazioni turistiche.
Anche se valida solo per il caso specifico, potrà essere utilizzata da chi contesta i regolamenti comunali.
Il verdetto rafforza l’idea che:
le locazioni turistiche private non sono attività imprenditoriali;
solo chi gestisce più di tre immobili rientra nel regime d’impresa;
i Comuni non hanno il potere di vietare o condizionare gli affitti brevi se l’attività non è imprenditoriale.
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