Adeguatezza sanzione disciplinare non sindacabile in Cassazione

Pubblicato il 02 agosto 2018

Le Sezioni Unite non possono sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, “dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sulla assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale”.

Quando possono essere impugnate le decisioni del CNF?

Le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare, in particolare, possono essere impugnate davanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge.

Ne consegue che l'accertamento del fatto, l'apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto del controllo di legittimità.

Questo ad eccezione del caso in cui le stesse si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell'uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito.

Principi enunciati dalle Sezioni Unite di Cassazione

E’ quanto ribadito dalle Sezioni Unite di Cassazione con sentenza n. 20344 depositata il 31 luglio 2018, di rigetto del ricorso promosso da un avvocato contro la decisione del CNF che, nel confermare la sua responsabilità disciplinare per essere venuto meno ai doveri di probità, dignità e decoro, aveva sostituito la sanzione della cancellazione, originariamente irrogata dal COA di riferimento, con la sanzione meno afflittiva della sospensione dall'esercizio della professione forense per tre anni.

Il principio sopra enunciato è stato richiamato dalla Suprema corte con riferimento alla specifica doglianza avanzata dal legale per denunciare un'asserita violazione dell'articolo 111 della Costituzione, sotto il profilo della cosiddetta motivazione apparente o non ricostruibile logicamente.

Cancellazione, non più prevista, è inapplicabile

Sul fronte della sanzione più mite applicata dal CNF sul rilievo che il nuovo Codice deontologico professionale non prevede la sanzione della cancellazione dall'albo, la Suprema corte ha ricordato il principio già enunciato a Sezioni Unite con sentenza n. 30993/2017, ai sensi del quale “in tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati, le norme del codice deontologico forense approvato il 31 gennaio 2014, si applicano anche ai procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore se più favorevoli per l'incolpato, avendo l'articolo 65, comma 5, della L. n. 247 del 2012, recepito il criterio del “favor rei" il luogo dell'quello del "tempus regit actum".

Ne discende che la sanzione della cancellazione dall'albo, in quanto non più prevista, è inapplicabile e, in luogo di essa, deve essere comminata la sospensione dall'albo nella durata prevista dal nuovo Codice deontologico, anche ove in concreto superiore rispetto a quella dettata dal precedente.

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