E’ errato il principio in base al quale la proposta di accordo di ristrutturazione del debito impedisce di soddisfare debiti non espressamente indicati.
Il chiarimento arriva dalla Corte di cassazione, nella sentenza n. 29869 del 3 luglio 2018 della Terza sezione penale, su ricorso presentato dalla Procura contro l’ordinanza del tribunale del riesame che aveva cancellato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip nei confronti del rappresentante legale di una spa, per mancato pagamento dell’Iva.
Per la Corte di cassazione tale ordinanza è basata su un presupposto giuridico errato consistente nel ritenere che la proposta di accordo di ristrutturazione, ex articolo 182 bis Legge fallimentare, impedisca il pagamento dell’Iva, in quanto il provvedimento, disponendo il divieto di iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive individuali, ed autorizzando la società a effettuare solo alcuni pagamenti, comporta l’implicito divieto di effettuarne altri, compreso quello dell’Iva.
Ritiene la Cassazione che il pagamento dei debiti ulteriori rispetto a quelli espressamente compresi nel provvedimento non è impedito dall’accordo di ristrutturazione del debito, tranne nel caso in cui l’adempimento di tali ulteriori debiti non rappresenti un danno irreparabile, impedendone o pregiudicandone radicalmente la soddisfazione.
Ragionando diversamente, il debitore potrebbe scegliere quali debiti onorare e quali no, fino a non ottemperare alle pretese erariali garantendosi l’immunità.
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