L’accettazione, anche tacita, della cessione del credito non assume, di per sè, la natura di un riconoscimento di debito.
La medesima, infatti, è dichiarazione di scienza priva di contenuto negoziale e non vale, in sé, quale ricognizione tacita del debito.
E tale valenza non può essere desunta dal silenzio del debitore sulla natura del credito ceduto o dalla mancata informativa al cessionario sulle ragioni della contestazione del credito, in quanto l’obbligo di diligenza di cui all’articolo 1176 del Codice civile è imposto al debitore solo nell’adempimento della prestazione e non può essere esteso sino ad includere l’informazione dettagliata delle ragioni del rifiuto ad adempiere.
Secondo la giurisprudenza, inoltre, la notifica di cui all’articolo 1264 del Codice civile svolge la funzione di escludere l’efficacia liberatoria del pagamento eventualmente effettuato in buon fede dal debitore ceduto al cedente anziché al cessionario, e non vale ad esonerare quest’ultimo dall’onere di provare il credito.
Il debitore ceduto, anche se informato della cessione, non viola il principio di buona fede nei confronti del cessionario se non contesta il credito, né il suo silenzio può costituire conferma di esso, perché per assumere tale significato occorre un’intesa tra le parti.
Egli, per contro, rimane estraneo alla cessione, di modo che è onere del cessionario provare l’esistenza e l’ammontare del credito.
Sono questi gli assunti ribaditi dai giudici di Cassazione, Terza sezione civile, nel testo della sentenza n. 3184 del 18 febbraio 2016.
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