Il principio per cui l’Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro – al fine di superare la presunzione di corrispondenza tra il prezzo incassato e quello coincidente con il valore di mercato - è ormai superato alla stregua dello ius superveniens, ossia l’art. 5 comma 3 D.Lgs. 147/2015 (c.d. decreto internazionalizzazione).
A tenore di detta ultima norma, difatti, gli artt. 58, 68, 85 e 86 del T.u. delle imposte sui redditi D.p.r. n. 917/1986 e gli artt. 5, 5 bis, 6 e 7 D. Lgs. n. 446/1997, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende, nonché per la costituzione ed il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.p.r. n. 131/1986, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. n. 347/1990.
Il sopra citato D.Lgs. n. 147/2015, essendo norma di interpretazione autentica, avente quindi efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria (dunque destinata a perdere tutte le controversie in proposito instaurate sia prima che dopo il decreto) possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda, solo sulla base del valore dichiarato o accertato ai fini dell’imposta di registro.
E’ tutto quanto dichiarato dalla Corte di Cassazione, Sezione tributaria civile, con ordinanza n. 21438 del 15 settembre 2017, respingendo un ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
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