La Corte di Cassazione, quinta sezione penale, ha confermato la condanna del responsabile di un Ufficio di Polizia, per il reato di accesso abusivo a sistema informatico ex art. 615 ter c.p., per aver lo stesso preso visione di messaggi contenuti nella posta elettronica di un suo assistente, aprendo i relativi documenti e scaricandone due di essi.
In proposito, il Supremo Collegio ha ricordato che la casella di posta elettronica rappresenta inequivocabilmente un sistema informatico, rilevante ai sensi dell’art. 615 ter.
Può essere più in particolare definita come uno spazio di memoria del sistema informatico, destinato alla memorizzazione di messaggi o dati di varia natura di un soggetto identificato da un account registrato presso un provider di servizio. E l’accesso a questo spazio di memoria concreta, è chiaramente un accesso al sistema informatico, giacché la casella altro non è che una porzione della complessa apparecchiatura fisica ed astratta per la memorizzazione di informazioni.
Allorché detta porzione di memoria sia protetta – come nel caso di specie – mediante l’apposizione di password, in modo tale da rilevare la chiara volontà dell’utente di farne uno spazio a sé riservato, ogni accesso abusivo allo stesso concreta l’elemento materiale del reato di cui all'art. 615 ter c.p.
E’ inaccettabile dunque – conclude la Corte con sentenza n. 13057 del 31 marzo 2016 – l’equiparazione fatta dalla difesa dell’imputato ricorrente, tra la casella di posta elettronica e la cassetta delle lettere collocata nei pressi dell’abitazione. Detta cassetta infatti, a differenza dell’indirizzo e –mail, non è affatto destinata a custodire e ricevere informazioni e non rappresenta un’estensione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto interessato, ma un contenitore fisico di elementi solo indirettamente riferibili alla persona.
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