Le Sezioni unite penali di Cassazione sono tornate a pronunciarsi in materia di intercettazioni mediante virus informatici a poche ore dall’ultima sentenza depositata lo scorso 1° luglio.
I giudici di legittimità, in questo caso, oltre a ribadire l’orientamento da ultimo affermato secondo cui, nel caso di reati di criminalità organizzata, l’utilizzo di intrusore informatico è sempre legittimo, a prescindere dalla specificazione del luogo, anche di privata dimora, in cui la captazione avviene, si sono pronunciati rispetto ad una particolare doglianza con la quale era stato lamentato che, nel caso esaminato, il decreto autorizzativo delle intercettazioni non individuava con precisione, oltre al luogo, nemmeno il dispositivo elettronico da monitorare.
Rigettando questo specifico rilievo, la Suprema corte – sentenza n. 27404 del 4 luglio 2016 - ha sottolineato che, poiché il decreto in oggetto aveva autorizzato captazioni ambientali da remoto con l’utilizzo di virus informatico idoneo a consentire l’ascolto di conversazioni che fossero avvenute nei pressi dei microfoni installati su dispositivo elettronico, era chiaro che tale metodica implicasse, necessariamente, una captazione dinamica.
Inoltre, nel decreto autorizzativo era anche chiarito che l’indagato aveva acquistato un dispositivo informatico non ancora identificato, con il quale tramite internet e via Skype si collegava ai suoi sodali.
Quindi, l’autorizzazione era stata riferita al dispositivo non meglio identificato, fosse esso un pc, un tablet o uno smatphone.
In detto contesto, il tenore dell’autorizzazione non implicava indeterminatezza dello strumento, ma semplicemente postulava una determinata tecnica di captazione e il riferimento ad un dispositivo in uso, fermo restando che a quello strumento specifico avrebbero in concreto dovuto riferirsi le operazioni di intercettazione.
La presente decisione, come sopra ricordato, si affianca alla pronuncia a Sezioni unite penali n. 26889/2016 del 1° luglio.
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