L’abuso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore affidato, anche laddove sia sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nella fattispecie di abuso dei mezzi di correzione. Concretizza invece, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p.
La giurisprudenza di legittimità ha del resto stabilito, ormai da diversi anni, che con riguardo ai bambini, il termine “correzione” è sinonimo di educazione; per cui non può certo ritenersi l’uso della violenza finalizzato a scopi educativi. E questo, sia per il primato che l’ordinamento attribuisce alla dignità della persona, anche minore – ormai anch’egli titolare di diritti e non più, come in passato, semplice oggetto di protezione da parte degli adulti – sia perché non può perseguirsi, quale meta educativa, un risultato di armonico sviluppo della personalità, utilizzando un mezzo violento che con tale fine contraddice. Ne consegue che l’eccesso dei mezzi di correzione violenti non rientra nella fattispecie ex art. 571 c.p. (abuso dei mezzi di correzione), giacché intanto è ipotizzabile un abuso, solo laddove sia considerato lecito l’uso.
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sesta sezione penale, respingendo il ricorso di un’insegnante avverso la misura interdittiva della sospensione dall’insegnamento per un anno, in quanto gravemente indiziata del reato di maltrattamenti in famiglia posto in essere nei confronti dei propri alunni minorenni.
A nulla sono valse, in proposito, le difese dell’indagata, secondo cui le lievi percosse e le tirate di capelli alle proprie alunne, sebbene non commendevoli, si sarebbero comunque rivelate inidonee ad esprimere violenza fisica e psicologica. In ogni caso, l’assenza di dolo unitario e di sistematicità ed abitualità della condotta – sosteneva la ricorrente – avrebbero quantomeno imposto di riqualificare la fattispecie nel meno grave reato di abuso dei mezzi di correzione (con conseguente non applicabilità della contestata misura interdittiva).
Censure respinte nel merito - secondo una ricostruzione poi avallata dalla Corte Suprema con sentenza n. 40959 del 7 settembre 2017 – dato che le immagini registrate dalle videocamere avevano consentito di riscontrare condotte travalicanti comportamenti di rinforzo educativo, trasmodando l’atteggiamento di violenza fisica e psicologica che per l’appunto caratterizza il reato di maltrattamenti.
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