Il risarcimento del danno dovuto al promissario acquirente per la mancata stipulazione del contratto definitivo di un immobile imputabile al promittente venditore, consiste nella differenza tra il valore commerciale del bene, da determinarsi con riferimento al momento della proposizione della domanda, ed il prezzo pattuito, anch’esso rivalutato alla stessa data; oltre al risarcimento, sulla differenza così determinata, degli effetti della svalutazione monetaria intervenuta nelle more del giudizio.
E’ escluso, dunque, il potere di riconoscere al promissario acquirente rimasto insoddisfatto, un valore pari all’intero prezzo commerciale assunto a distanza di anni dal bene immobile, altrimenti conseguendone un’attribuzione causale di pregiudizio da lucro cessante rispetto al fatto illecito non più riferibile a questo, ma a variazioni di mercato generali e come tali non più conseguenza diretta ed immediata della condotta.
Sono questi i criteri individuati dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, con ordinanza n. 22825 del 29 settembre 2017, respingendo il ricorso di una promissaria acquirente avverso la pronuncia d’appello che aveva rideterminato il quantum del risarcimento ad essa accordato - a carico rispettivamente del promittente venditore e del notaio rogante il preliminare - per non aver potuto concludere il contratto definitivo per fatto imputabile al venditore, essendosi rivelato l’immobile oggetto di compromesso gravato da ipoteche per importi consistenti.
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