Truffa aggravata per il “falso funzionario” che minaccia accertamenti fiscali
Pubblicato il 25 febbraio 2015
Commette reato di
truffa aggravata e
non di estorsione, colui che, al fine di trarre un ingiusto profitto, si spaccia per facente parte dell’Amministrazione finanziaria
e induce il titolare di un’attività commerciale a consegnargli una somma di denaro, dietro minaccia di sottoporlo ad accertamento fiscale.
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione, seconda sezione penale, con sentenza
n. 8170, depositata il 24 febbraio 2015, rigettando le ragioni addotte dall’imputato, avverso la sua condanna per il reato di cui all’art. 629 c.p.
Il ricorrente, in particolare, era stato condannato per aver indotto un commerciante - attribuendosi il falso stato di appartenenza all’Agenzia delle Entrate ed esibendo gli appositi distintivi – a farsi consegnare una determinata somma di denaro, minacciandolo, ove non avesse provveduto, di un imminente accertamento fiscale nei confronti della sua attività.
La Corte di Cassazione, annullando con rinvio la statuizione del provvedimento impugnato circa la qualificazione dei fatti contestati, ha ritenuto sussistere, nella fattispecie, il
reato di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640 c.p.
Ha colto poi l’occasione per tracciare
la linea di confine tra due fattispecie di reato (truffa aggravata ed estorsione), per certi versi similari e confondibili.
A detta della Suprema Corte,
l’aspetto differenziale tra il delitto di
truffa aggravato dall’ingenerato timore di un pericolo immaginario ed il
delitto di estorsione, risiede
esclusivamente nell’elemento oggettivo.
Si ha infatti
truffa aggravata qualora, come nel caso qui in esame, il danno immaginario venga indotto nella persona offesa
tramite artifici e raggiri – dunque,
mezzi che non realizzano una costrizione vera e propria ma
un’induzione in errore - e
l’agente non sia poi in grado, se la persona offesa non intenda adempiere alle sue richieste,
di attuare la minaccia profferita.
L’ipotesi di
estorsione ricorre invece quando il danno è certo e sicuro ad opera del reo – dunque, non nella fattispecie - ove la vittima non ceda alla richiesta minatoria.