Secondo la Corte di cassazione – sentenza n. 18748 del 23 settembre 2015 - il trattenimento nel centro di identificazione ed espulsione (CIE) costituisce una misura di privazione della libertà personale, legittimamente realizzabile solo in presenza delle condizioni giustificative previste dalla legge e secondo una modulazione dei tempi rigidamente predeterminata.
Ne consegue che l’autorità amministrativa è priva di qualsiasi potere discrezionale sul punto e anche il successivo controllo giurisdizionale deve estrinsecarsi nei medesimi limiti.
In tale contesto, la motivazione del provvedimento di convalida del trattenimento in sede giudiziale deve accertare la specificità dei motivi addotti per la richiesta di proroga e la loro congruenza alla finalità del trattenimento medesimo prevista dalla legge, vale a dire la necessità della misura al fine di rendere possibile il rimpatrio.
Nella specie, è stato ribaltato il verdetto con cui il giudice di pace aveva provveduto a convalidare il trattenimento nel Cie di un immigrato in assenza dell’identificazione di alcuna situazione transitoria specifica che ostacolasse la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento, né l’esistenza di un effettivo rischio di fuga dello straniero.
Non sussisteva, in realtà, a detta della Suprema corte, una situazione solo transitoria che ostacolasse il rientro nel Paese di provenienza, bensì una situazione permanente di impraticabilità al rimpatrio, con grave rischio all’incolumità e alla vita dell’interessato.
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