Con la circolare del 23 dicembre 2019, n. 158, l’INPS ha fornito chiarimenti utili sulla corretta individuazione del regime fiscale e contributivo in materia di determinazione del reddito dei lavoratori in trasferta e dei lavoratori da considerarsi “trasfertisti”.
Tali chiarimenti risultano dall'interpretazione dall’articolo 7-quinquies del decreto legge n. 193 del 22 ottobre 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 225 del 1 dicembre 2016 (G.U. n. 282 del 2 dicembre 2016), e richiamano anche l’orientamento maggioritario della giurisprudenza sul punto.
Prima di analizzare le indicazioni fornite dall’Ente, è bene soffermarsi sulla differenza tra la trasferta occasionale dei dipendenti e il cd “trasfertismo”, poiché le differenze tra i due istituti sono sostanziali.
Come evidenziato nella circolare in commento, stante il potere direttivo del datore di lavoro, il lavoratore subordinato può essere chiamato a svolgere la sua attività in un luogo diverso dalla sede di lavoro e, a seconda delle modalità e del luogo di svolgimento della prestazione, nonché degli impegni contrattuali assunti dalle parti, si possono configurare due diverse fattispecie:
Come anticipato, si tratta di differenti tipologie di spostamento dei dipendenti, tanto che cambia totalmente la relativa disciplina contributiva e fiscale, applicabile sulla base delle disposizioni dettate dal DPR n. 917 del 22 dicembre 1986, ai commi 5 e 6 dell’articolo 51.
Nella prima ipotesi, infatti, si applicherà il comma 5 del predetto articolo 51 del TUIR, vale a dire la seguente disciplina, a seconda della tipologia di trasferta effettuata:
In caso di rimborso delle spese di alloggio, ovvero di quelle di vitto, o di alloggio o vitto fornito gratuitamente il limite è ridotto di un terzo (sarà ridotto di due terzi in caso di rimborso sia delle spese di alloggio che di quelle di vitto).
Ulteriormente, in caso di rimborso analitico delle spese per trasferte o missioni fuori del territorio comunale non concorrono a formare il reddito i rimborsi di spese documentate relative al vitto, all'alloggio, al viaggio e al trasporto, nonché i rimborsi di altre spese, anche non documentabili, eventualmente sostenute dal dipendente, sempre in occasione di dette trasferte o missioni, fino all'importo massimo giornaliero di euro 15,49 (elevate a euro 25,82 per le trasferte all'estero);
Nel caso, invece, dei lavoratori trasfertisti, ossia a coloro i quali sono tenuti “per contratto” all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, si applicherà il comma 6 del medesimo articolo 51, che prevede una imponibilità al 50% sulle indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti anche se corrisposte con carattere di continuità.
L’argomento trattato non è di facile interpretazione, tanto che si registra, negli anni, un rilevante contenzioso giurisprudenziale, circa la corretta applicazione del regime fiscale e contributivo di cui ai commi 5 e 6 dell’articolo 51 del TUIR.
Tale confusione non è stata risolta neanche a seguito dell’intervento del legislatore con l’articolo 7-quinquies del citato decreto legge n. 193/2016, che da un lato ha individuato gli elementi necessari e concorrenti per ravvisare la fattispecie del trasfertismo, dall’altro, con norma generale di applicazione residuale allorché non trovi applicazione la disposizione sul trasfertismo, ha riconosciuto in capo ai lavoratori subordinati il diritto a beneficiare del trattamento di trasferta previsto dal TUIR al comma 5 dell’articolo 51.
Visto tale quadro di incertezza applicativa, l’INPS con circolare in commento, ha illustrato i chiarimenti forniti dal legislatore con le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 7-quinquies, in relazione ai presupposti necessari ai fini dell’applicazione del regime del trasfertismo, riprendendo in toto i criteri stabiliti dal Ministero delle Finanze con la circolare n. 326 del 23 dicembre 1997, in tema di modalità di tassazione dei redditi da lavoro dipendente.
In dettaglio, stando all’interpretazione ufficiale dell’INPS della richiamata normativa, e considerata la mancata adozione di un apposito decreto ministeriale finalizzato all’individuazione dei trasfertisti, gli elementi identificativi del c.d. trasfertismo, la cui contestuale sussistenza determina l’applicabilità del regime contributivo di cui al citato comma 6, sono da considerarsi i seguenti:
1. la mancata indicazione nel contratto e/o lettera di assunzione della sede di lavoro, intendendosi per tale il luogo di svolgimento dell'attività lavorativa e non quello di assunzione (quest'ultimo, infatti, può non coincidere con quello di svolgimento dell’attività lavorativa);
2. lo svolgimento di una attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente (ossia lo spostamento costituisce contenuto ordinario della prestazione di lavoro);
3. la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell'attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di una indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, vale a dire non strettamente legata alla trasferta poiché attribuita senza distinguere se il dipendente si sia effettivamente recato in trasferta.
Di converso, ogni qual volta manchi anche di uno dei presupposti di cui sopra troverà applicazione la disciplina in tema di trasferta.
NB! In definitiva, la posizione dell’INPS conferma le disposizioni già fornite con il messaggio del 5 dicembre 2008, n. 27271, nel quale veniva specificato che la sussistenza della fattispecie di trasfertismo potrà essere affermata se siano coesistenti i tre requisiti previsti e disciplinati dal legislatore. |
Nella circolare, al fine di avvalorare la propria tesi, l’INPS cita altresì l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in particolare con la sentenza n. 27093 del 15 novembre 2017, ove, perfettamente in linea con la posizione dell’Ente previdenziale, vengono affermati i seguenti principi di diritto.
Il primo principio è il seguente: “È conforme ai principi costituzionali di ragionevolezza e di tutela del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, oltre che all’art. 117, comma 1, Cost. sotto il profilo del principio di preminenza del diritto e di quello del processo equo di cui all’art. 6 della CEDU, l’art. 7-quinquies del d.l. n. 193 del 2016 (conv. con modif.ni nella l. 225/2016) che ha introdotto una norma retroattiva autoqualificata di interpretazione autentica del comma 6 dell’art. 51 del d.P.R. n. 917/1986, con la quale si è stabilito, al comma 1, che i lavoratori rientranti nella disciplina prevista dal comma 6 sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni:
Il secondo principio è il seguente: “In materia di trattamento contributivo dell’indennità di trasferta, alla stregua dei criteri di interpretazione letterale, storica, logico –
sistematica e teleologica, l’espressione anche se corrisposta con carattere di continuità presente nell’art. 51, comma 6, d.P.R. n. 917 deve essere intesa nel senso che l’eventuale continuatività della corresponsione del compenso per la trasferta non ne modifica l’assoggettabilità al regime contributivo (e fiscale) meno gravoso (di quello stabilito in via generale per la retribuzione imponibile) rispettivamente previsto dalle citate disposizioni.”.
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