A seguito dell’entrata in vigore della legge di bilancio 2019 (legge del 30 dicembre 2018, n. 145, G.U. n. 302 del 31 dicembre 2018), pur essendo confermate le regole per il calcolo e le casistiche in cui deve essere corrisposto, è aumentato l’importo del contributo alla Naspi che il datore di lavoro privato deve corrispondere in caso di licenziamento di uno o più dipendenti, importo chiamato, appunto, “ticket licenziamento”.
Di conseguenza, dal 18 marzo 2019, il ticket a carico dei datori di lavoro aumenta per i licenziamenti avvenuti dal 1° al 31 gennaio 2019.
In dettaglio, come vedremo, l’importo del ticket di licenziamento è pari al 41% del massimale Naspi (che corrisponde a 1.221,44 euro) per cui il valore attuale è pari a 500,79 euro per gli ultimi 12 mesi di impiego del lavoratore (in pratica, 5,45 euro in più rispetto al 2018).
Il ticket di licenziamento è il costo di cui si fa carico l’azienda quando decide di interrompere anticipatamente il rapporto di lavoro con uno o più dipendenti.
Come noto, nell’ordinamento italiano, il datore di lavoro è tenuto a rispettare una serie di regole e limiti se intende licenziare: tali obblighi derivano, in primo luogo, dall’art. 2119 del Codice Civile, che sancisce il principio di recesso per giusta causa, specificando che “ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.
In buona sostanza, il datore di lavoro è tenuto a rispettare determinati obblighi per licenziare legittimamente, ossia:
Quest’ultimo è un contributo economico destinato al fondo con il quale viene finanziata l’indennità di disoccupazione Naspi, che deve essere corrisposto ogni volta in cui l’interruzione del rapporto di lavoro dà diritto a tale trattamento di integrazione salariale, quindi nei casi di:
Analizzando la questione ancora più in dettaglio, il ticket licenziamento è quel contributo a carico delle aziende e dei datori di lavoro introdotto dalla cosiddetta Riforma Fornero (legge del 28 giugno 2012, n. 92, G.U. n. 153 del 3 luglio 2012), dovuto in tutti i casi in cui c’è un’interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ad eccezione di quando è il lavoratore a presentare le dimissioni oppure nel caso di risoluzione consensuale del contratto di lavoro, con l’obiettivo di finanziare la Naspi e scoraggiare i licenziamenti.
Tale contributo va pagato in un’unica soluzione entro il 16° giorno del secondo mese successivo all’interruzione del rapporto lavorativo con un importo variabile - come vedremo meglio di seguito - in base all’anzianità di servizio del dipendente.
Nel dettaglio, i datori di lavoro sono obbligati a pagare questo contributo nei seguenti casi:
NB! Il ticket di licenziamento va pagato quando il dipendente licenziato ha diritto alla Naspi, indipendentemente dal fatto che il dipendente poi usufruisca o meno del trattamento in questione. A tale proposito, ricordiamo che la Naspi spetta ai lavoratori che perdono il loro impiego per cause esterne alla loro volontà: non hanno diritto all’indennità di disoccupazione, quindi, coloro che si dimettono dal lavoro, ad eccezione che si tratti di dimissioni per giusta causa. |
Per completezza, si segnala che vi sono dei casi in cui il ticket di licenziamento non è sempre dovuto.
In dettaglio, vista la particolarità di tali rapporti di lavoro, non va versato quando si licenzia un collaboratore domestico, un operaio agricolo o un operaio extracomunitario stagionale.
Ulteriormente, non va versato se la fine del rapporto lavorativo avviene per la scadenza di un contratto a tempo determinato oppure nel caso di decesso del dipendente.
Infine, l’esenzione riguarda anche i licenziamenti avvenuti per cambio d’appalto (ad esempio per le imprese di pulizia o per i servizi di ristorazione) e per fine cantiere nel settore edile.
Come anticipato, per il calcolo del ticket di licenziamento bisogna fare riferimento all’anzianità del lavoratore licenziato.
Attualmente, il datore di lavoro è tenuto a pagare il 41% del massimale mensile Naspi per ogni 12 mesi di anzianità del lavoratore: di conseguenza, considerando che, come specificato nella circolare INPS del 25 gennaio 2019, n. 5, il massimale Naspi per il 2019 è pari a 1.221,44 euro, il contributo dovuto dal datore di lavoro è di 500,79 euro per gli ultimi 12 mesi di impiego, per un importo massimo - per i rapporti lavorativi pari o superiori ai 36 mesi - che non supera i 1.502,37 euro.
Inoltre, per il licenziamento collettivo da parte delle aziende rientranti nella CIGS l’importo del ticket anche nel 2019 va calcolato con un’aliquota maggiorata dell’82%: si tratterà quindi di 1001,58 euro per le prime 12 mensilità, 3.004,74 euro per tre anni.
Da ultimo, in mancanza di un accordo sindacale questo va moltiplicato per tre; quindi, in tal caso per i 36 mesi l’importo massimo è di 9.014,22 euro per ciascun lavoratore.
NB! Come specificato dall’INPS nella circolare del 22 marzo 2013, n. 44, se un lavoratore ha un’anzianità aziendale differente da 12, 24 e 36 mesi, il contributo va rideterminato in maniera proporzionale al numero di mesi di servizio. |
QUADRO NORMATIVO Legge n. 92 del 28 giugno 2012 INPS, circolare n. 44 del 22 marzo 2013 |
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