Tempo tuta ed orario di lavoro

Pubblicato il 22 gennaio 2015 La questione relativa all’obbligo, o meno, per il datore di lavoro di retribuire il tempo impiegato dal dipendente per indossare la divisa aziendale è da sempre oggetto di contenzioso.

Tuttavia, al fine di poter stabilire se il c.d. “tempo tuta” sia da retribuire, è necessario innanzitutto stabilire se lo stesso rientra nella definizione di orario di lavoro e non sia, piuttosto, riconducibile agli obblighi di diligenza cui è tenuto il lavoratore in virtù dell’art. 2104 c.c.

L’orario di lavoro

L’art. 1, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 66/2003, definisce “orario di lavoro" qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia:

- al lavoro;

- a disposizione del datore di lavoro;

- nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni.

Le suddette tre condizioni devono coesistere per cui, in linea generale, il tempo necessario per indossare una divisa rientra nell’orario di lavoro qualora il lavoratore debba effettuare in concreto tale attività quando sia già sul luogo di lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, ovvero quando il prestatore di lavoro sia già sottoposto al potere direttivo datoriale.

L’obbligo di diligenza

Nel caso in cui, invece, l’obbligo di indossare una divisa fornita dal datore di lavoro, per quanto imposto dallo stesso, non sia accompagnato da vincoli sul luogo in cui l’operazione di vestizione debba avvenire, né tantomeno sulla tempistica, il dovere in questione sarebbe riconducibile all’obbligo di diligenza previsto dall’art. 2104 c.c., in virtù del quale il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta e dall'interesse dell'impresa.

La previsione dei contratti collettivi

Nello stabilire se il “tempo tuta” rientri nell’orario di lavoro può venire in soccorso il contratto collettivo applicato dalle aziende per cui, in teoria e salvo casi specifici, nessun dubbio ci sarebbe in caso di CCNL - o anche di contratto di secondo livello - che preveda l’obbligo di indossare la divisa durante il servizio.

Infatti, anche se tale previsione non si riferisce esplicitamente alla computabilità del tempo tuta nell’orario di lavoro - e quindi al conseguente obbligo di retribuzione a carico del datore di lavoro – implica comunque il dovere per il lavoratore di procedere alle operazioni di vestizione e vestizione:

- all’interno dei luoghi di lavoro;

- prima dell’inizio e subito dopo la conclusione della prestazione lavorativa;

e per questo tali attività si dovrebbero ritenere operazioni sottoposte al potere direttivo del datore di lavoro.

In generale, però, i contratti collettivi nazionali di lavoro, anche laddove trattano di divise ed indumenti di lavoro, si riferiscono generalmente al solo obbligo posto a carico del datore di fornirli e nulla specificano in merito alla computabilità, o meno, nell’orario di lavoro del tempo necessario per la vestizione/svestizione.

La giurisprudenza

In assenza di precisa disciplina legale e contrattuale, occorre quindi rifarsi alla giurisprudenza che, data la delicatezza e la ricorrenza della questione, non difetta di interpretazioni e orientamenti tanto che, ormai, esiste un orientamento consolidato in virtù del quale, per sciogliere i dubbi nelle varie situazioni concrete, occorre distinguere se il lavoratore abbia o meno la facoltà di scegliere il luogo e il momento in cui indossare gli indumenti di lavoro.

Per la Corte di Cassazione, il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale deve essere retribuito, o non deve essere retribuito, a seconda della disciplina contrattuale specifica o delle disposizioni datoriali.

Qualora vi sia facoltà del lavoratore circa il tempo ed il luogo (anche presso il proprio domicilio) in cui indossare gli indumenti di lavoro, l’attività di vestizione/svestizione rientra negli atti di diligenza preparatoria e non deve essere retribuito il tempo necessario.

In tali casi, infatti, si tratta di attività direttamente gestita dal lavoratore stesso e sottratta, per contro, al potere direttivo e di controllo del datore di lavoro.

Nel caso in cui, invece, tali operazioni siano eterodirette dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, le stesse rientrano a pieno titolo nell’orario di lavoro effettivo e come tale il tempo necessario deve essere retribuito (ex multis: Cassazione, sentenza n. 15734 del 21 ottobre 2003, e più recentemente, Cassazione, sentenze n. 1840 dell’8 febbraio 2012 e n. 4908 del 3 marzo 2014).

I motivi igienici

Sempre la Cassazione, con sentenza n. 19273 dell’8 settembre 2006, ha chiarito che non basta che per motivi igienici vi sia l’obbligo di indossare gli indumenti di lavoro nello spogliatoio aziendale per concludere che il tempo necessario vada retribuito, ma occorre sempre che vi sia interferenza da parte del datore di lavoro, ovvero rilevazione e controllo datoriale sull’effettiva misura del tempo impiegato, quindi che l’attività sia eterodiretta.

A tal proposito si evidenzia che, anche nel caso in cui il CCNL preveda disposizioni concernenti il luogo ove indossare la divisa per motivi igienici, la Suprema Corte ha sostenuto che tale obbligo non è elemento essenziale e decisivo dell’eterodeterminazione datoriale ma è comunque necessario che l’adempimento dell’obbligo imposto dal datore di lavoro debba avvenire necessariamente presso l’unità produttiva

Gli Ermellini, con la sentenza n. 20179 del 22 luglio 2008, hanno, infatti, sostenuto che il tempo necessario per indossare la divisa e toglierla, nel caso in cui le operazioni siano dirette dal datore di lavoro che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, deve essere retribuito e non rileva il mancato controllo dei tempi impiegati dai lavoratori (nel caso di specie la vestizione doveva avvenire prima della timbratura in entrata e la svestizione era successiva alla timbratura).

I dispositivi di protezione individuale

L’orientamento valido per il tempo tuta è seguito dalla giurisprudenza anche per l’obbligo che incombe sui lavoratori di indossare i dispositivi di protezione individuale forniti dal datore di lavoro per la tutela della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro.

Locali destinati alla vestizione/svestizione

Sempre per giurisprudenza, il datore di lavoro è obbligato a predisporre strutture idonee per lo svolgimento delle attività di vestizione/svestizione per ragioni di salute e di decenza.

A tal proposito, la Fondazione Studi Consiglio Nazionale dell'Ordine Consulenti del Lavoro, con il parere n. 2 del 30 giugno 2009, ha ricordato che l’obbligo di mettere a disposizione locali appositamente destinati a spogliatoi sussiste solo quando i lavoratori devono indossare indumenti di lavoro specifici e quando per ragioni di salute o di decenza non si può loro chiedere di cambiarsi in altri locali.

Quindi, qualora non ricorrano i suddetti presupposti, il datore di lavoro non ha l'obbligo legale di predisporre strutture idonee alla vestizione, e, di conseguenza, i lavoratori hanno la facoltà di indossare la divisa anche fuori dalla struttura aziendale, salva la sussistenza di obblighi derivanti dal contratto collettivo o individuale.

A tal proposito nello stesso parere è stato ricordato che la giurisprudenza ha precisato che se la divisa aziendale deve essere indossata per ragioni estetiche, i lavoratori non hanno diritto allo spogliatoio per cambiarsi (Cassazione, sentenza n. 11071 del 6 maggio 2008).


Norme e prassi 

Art. 2104 c.c.

D.Lgs. n. 66 dell’8 aprile 2003, art. 1, comma 2, lett. a)

Fondazione Studi CNO Consulenti del Lavoro, parere n. 2 del 30 giugno 2009

Corte di Cassazione, sentenza n. 15734 del 21 ottobre 2003

Corte di Cassazione, sentenza n. 19273 dell’8 settembre 2006

Corte di Cassazione, sentenza n. 11071 del 6 maggio 2008

Corte di Cassazione, sentenza n. 20179 del 22 luglio 2008

Corte di Cassazione, sentenza n. 1840 dell’8 febbraio 2012

Corte di Cassazione, sentenza n. 4908 del 3 marzo 2014 
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