E’ stata confermata dalle Sezioni Unite civili della Cassazione la sanzione disciplinare della sospensione comminata ad un avvocato a cui era stato addebitato il trattenimento presso di sé di somme di un cliente.
Nella vicenda esaminata, il legale non era stato autorizzato da quest'ultimo a porre le somme in compensazione con i crediti professionali da lui vantati.
L'Ordine degli Avvocati a cui il legale apparteneva, ritenendo accertate le sue responsabilità in ordine alla violazione contestata – a cui si aggiungevano anche ulteriori addebiti come il mancato rispetto dei doveri di lealtà, correttezza e fedeltà nei confronti del proprio assistito, il mancato rispetto degli obblighi di diligenza professionale, l'omissione di informazioni riguardo lo svolgimento del mandato – lo aveva sanzionato con la sospensione dall'esercizio dell'attività professionale per un anno.
Contro questa decisione, l'avvocato si era rivolto, dapprima, al Consiglio Nazionale Forense e, poi, alle Sezioni Unite della Corte di cassazione.
Con sentenza n. 25392 del 9 ottobre 2019, gli Ermellini hanno giudicato infondati i relativi rilievi.
In particolare, rispetto al motivo con cui il ricorrente aveva dedotto l'intempestività dell'azione disciplinare, avviata solo nel 2014, quando i fatti a lui contestati risalivano agli anni tra il 2005 e il 2008, la Suprema corte ne ha rilevato l’inammissibilità in quanto “privo di pertinenza con gli argomenti dell'impugnata sentenza”.
Nel caso in esame – ha spiegato il Collegio di legittimità - il Consiglio Nazionale Forense aveva ravvisato le caratteristiche della permanenza della condotta disciplinarmente rilevante non con riferimento all'attività professionale svolta dell'incolpato in favore della cliente nel periodo tra il 2005 e il 2008, bensì con riferimento al trattenimento di somme di spettanza della stessa.
Sul punto è stato ricordato quanto di recente evidenziato dalle medesime Sezioni Unite, con sentenza n. 5200/19, con cui è stato ribadito che l'avvocato che si appropri dell'importo emesso a favore del proprio assistito dalla controparte soccombente in un giudizio civile, omettendo di informare il cliente dell'esito del processo che lo aveva visto vittorioso e di restituirgli le somme di sua pertinenza, pone in essere una “condotta connotata dalla continuità della violazione deontologica, destinata a protrarsi fino alla messa a disposizione del cliente delle somme di sua spettanza”, di modo che, ove tale comportamento persista fino alla decisione del Consiglio dell'ordine, non decorre la prescrizione di cui all'art. 51 del R.D.L. n. 1578/1933.
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