La “condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni” che giustifica l’applicazione della sospensione cautelare dell’avvocato è la condanna in primo grado.
E’ quanto si apprende dall’interpretazione sistematica e dalla ratio dell’articolo 60, comma 1, della Legge n. 247/2012 – ai sensi del quale la sospensione cautelare dall'esercizio della professione o dal tirocinio può essere deliberata dal consiglio distrettuale di disciplina competente per il procedimento, previa audizione, nel caso, appunto, di condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni – che non richiede espressamente l’irrevocabilità della sentenza.
Il legislatore, infatti, considera la pronuncia di una sentenza di condanna in primo grado in tutti i casi come “condizione necessaria e sufficiente per l’applicazione della misura”.
Questa interpretazione, del resto, è l’unica coerente con la ratio della disposizione, ossia di prevedere l’applicazione di una misura cautelare con un provvedimento amministrativo non giurisdizionale a carattere provvisorio ed urgente in ipotesi tipiche di accertata rilevante gravità.
Se, per contro, fosse applicata solo all’esito di un accertamento definitivo e irretrattabile della responsabilità penale, “la sospensione cautelare sarebbe priva di qualsiasi effetto concreto, divenendo un’inutile duplicazione della sanzione disciplinare, e non assolverebbe alla funzione di tutela dell’immagine della categoria professionale degli avvocati proprio nel momento dello strepitus fori, e quindi all’atto del verificarsi della lesione”.
E’ quanto precisato dalle Sezioni unite civili di Cassazione nell’ambito della sentenza n. 26148 depositata il 3 novembre 2017.
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