Sospensione dell’attività imprenditoriale e computo dei soci
Pubblicato il 14 maggio 2015
Con
nota prot. n. 7127 del 28.4.2015 il Ministero del Lavoro ha chiarito che, ai fini dell’applicazione del provvedimento di
sospensione dell’attività imprenditoriale di cui all’art. 14 del
D.lgs. n. 81/08 e s.m.i.,
i soci amministratori che prestano attività lavorativa in azienda non entrano a comporre la base di calcolo dei lavoratori complessivamente occupati dall’impresa. Diversamente,
i soci non amministratori che svolgono, comunque, attività lavorativa debbono essere computati nell’organico aziendale.
A fondamento di tale assunto, il Ministero ritiene che la titolarità del potere di amministrazione costituisca il requisito che determina il venir meno di quell’alterità che contraddistingue soggettivamente le parti del rapporto di lavoro: datore di lavoro da un lato e lavoratore dall’altro.
La prospettazione non sembra essere in linea con la teoria tradizionale, che riconosce alle società una soggettività distinta da quella dei soci.
L’art. 2247 c.c. prevede che
“con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. Se è vero che tale previsione non ricomprende tutte le tipologie di società operanti nell’ordinamento (esistono, infatti, anche società non a scopo di lucro e società uni personali, perché costituite da un solo soggetto mediante un atto unilaterale), è vero anche che la stessa costituisce il
minimo comune denominatore in cui vengono classificati i due sottoinsiemi delle società lucrative: le società di persone e le società di capitali.
A distinguere le prime dalle seconde sono due elementi: il grado di autonomia patrimoniale ed il riconoscimento della personalità giuridica.
Infatti,
le società di persone, inversamente dalle società di capitali, sono caratterizzate dalla prevalenza dell’elemento personale su quello economico e non sono dotate di personalità giuridica.
L’elemento che, invece, accomuna entrambi gli schemi societari è dato dalla
“soggettività giuridica”, nel senso che
le società, sia di persone sia di capitali, sono “soggetti di diritto”, vale a dire autonomi centri d’imputazione d’interessi giuridicamente tutelati e, come tali, soggettivamente distinti dalle persone dei soci. Per effetto di tale soggettività, la
società diviene titolare di rapporti giuridici e patrimoniali propri e distinti da quelli dei soci. Tant’è che in ambito lavoristico,
il rapporto di lavoro viene incardinato dal lavoratore non con il socio ma con la società ed è quest’ultima che viene identificata giuridicamente come parte datoriale. Tale alterità è ancor più evidente per le società di capitali che sono dotate non solo di soggettività, ma anche di personalità giuridica e cioè della capacità, riconosciuta dall’ordinamento, di essere identificato come ente in grado di porre in essere, per mezzo di persone fisiche, atti funzionali al perseguimento del proprio oggetto sociale.
La prospettiva che accoglie la soggettività delle società porta a escludere che la titolarità del potere di amministrazione possa costituire indice di alterità tra società e socio. In realtà, tale potere non è altro che lo strumento di cui la società si serve per realizzare i propri obiettivi, di modo che i soci che lo esercitano derivino la rispettiva posizione giuridica dalla volontà dell’ente.
E allora
le previsioni normative di cui all’art. 2 e art. 14 del D.lgs. n. 81 cit., se lette alla luce delle tesi testé proposte, portano a un indirizzo esegetico esattamente contrario a quello illustrato dal Ministero, poiché
evidenziano la necessaria dissociazione tra la figura del lavoratore e quella del datore, quest’ultimo identificato per l’appunto non con il socio (amministratore o non amministratore),
bensì con la società. La conclusione di tale assunto sarebbe pertanto quella di computare, e non di escludere, i soci che prestano attività lavorativa insieme ai lavoratori occupati dall’impresa.
Tale conclusione sembra valere anche per il caso, non affrontato dalla nota ministeriale in commento, in cui il socio cumuli a tale
status anche quello di lavoratore dipendente della società. Sebbene per le società di persone una simile cumulabilità appaia ammissibile in via eccezionale e fatte salve le ipotesi del socio amministratore unico di società di capitali o di amministratore delegato con delega
ad omnia in cui la cumulabilità appare radicalmente esclusa,
l’aggiunta del rapporto di dipendenza funzionale ex art. 2094 c.c. a quello societario evidenzia proprio la dissociazione tra l’ente e la persona fisica in capo alla quale vengono imputati entrambi i rapporti. E se tale dissociazione viene ritenuta essenziale ai fini della determinazione della base imponibile di cui all’art. 14 del D.lgs. n. 81 cit., allora per conseguenza anche il socio-lavoratore dovrà essere computato tra i dipendenti occupati dall’ente datore di lavoro. Si ritiene, in ultima analisi, che questa soluzione, proprio perché non espressamente affrontata dalla circolare del Ministero, possa essere percorsa autonomamente dal personale ispettivo.