L’istituto di credito, per opporre utilmente alla confisca il proprio credito ipotecario nei confronti di un soggetto imputato in un procedimento penale, è tenuto a fornire la prova della sua buona fede, dimostrando, ossia, il proprio affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di oggettiva apparenza che rende scusabile l’eventuale ignoranza o difetto di diligenza.
E’, infatti, la situazione di sostanziale incolpevolezza che segna il limite della confisca, situazione che tuttavia non ricorre nei confronti di chi, pur essendo assoggettabile a provvedimenti di prevenzione, pone in essere attività agevolative che determinano obiettiva commistione di interessi tra attività di impresa e attività mafiosa.
Il principio è stato ribadito dai giudici di Cassazione nel testo della sentenza n. 41353 depositata il 14 ottobre 2015 e con cui è stato ribaltato il giudizio di merito che aveva accolto le ragioni di una banca, oppostasi ad un provvedimento di applicazione della misura di prevenzione della confisca di un bene immobile di proprietà di un soggetto imputato penalmente.
L’istituto di credito, in particolare, aveva opposto alla procedura il credito ipotecario che la medesima vantava sull’immobile in conseguenza di un mutuo stipulato con l’imputato.
La Suprema corte ha escluso, nel caso in esame, la sussistenza di un affidamento incolpevole in capo alla banca posto che la concessione del mutuo – come confermato anche dalla Corte di merito - era avvenuta nella piena consapevolezza di realizzare un’elusione fiscale.
Addirittura, era emerso che l’istituto di credito avesse agito con assoluta negligenza in quanto il prestito medesimo era stato concesso ad un soggetto formalmente non possidente, privo di reddito autonomo e in totale assenza di garanzie creditorie.
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