Separazione dei coniugi. Niente addebito per la moglie depressa
Pubblicato il 30 aprile 2015
Con sentenza
n. 8715 depositata il 29 aprile 2015, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, ha respinto il ricorso del marito avverso la pronuncia con cui la Corte d’Appello aveva
negato l’addebito della separazione alla moglie e riconosciuto alla stessa un assegno mensile di mantenimento.
Lamentava in proposito il ricorrente come la Corte territoriale, nel non riconoscere l’addebito della separazione alla donna, avesse ignorato come fossero stati
proprio i comportamenti di quest’ultima a provocare la dissoluzione del matrimonio.
La signora infatti – a detta del ricorrente – nonostante il rapporto non fosse in crisi, si era semplicemente stancata di comportarsi da moglie fedele e da madre, ovvero, di adempiere i propri doveri di cui agli artt. 143, 147 e 148 c.c., preferendo accompagnarsi con altre donne, con cui avrebbe intrattenuto rapporti sessuali.
Sulla questione la Cassazione ha innanzitutto precisato come,
sin dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, la
separazione dei coniugi è stata svincolata dal presupposto della colpa di uno dei due e consentita, invece, tutte le volte che si verifichino, anche indipendentemente dalla volontà di uno o entrambi i coniugi,
fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. Intollerabilità che nel caso di specie – ha poi rilevato la Suprema Corte – è stata ampiamente motivata ed accertata in sede di merito, in cui si è preso atto del
profondo stato depressivo in cui sarebbe piombata la moglie, sfociato addirittura in un tentativo di suicidio.
Anche
l’asserita omosessualità della donna, se anche corrispondesse al vero, non sposterebbe i termini della questione, atteso che non farebbe altro che
rendere ancora più evidente l’intollerabilità della convivenza per la stessa.