Nuove e stringenti condizioni per i benefici fiscali
La Legge di Stabilità 2016 ha previsto un bonus fiscale per gli immobili (non di lusso) concessi in comodato a parenti in linea retta di primo grado, che prevede una riduzione del 50% sul versamento delle imposte comunali IMU e TASI per l’anno 2016 al ricorrere di determinati requisiti che nello specifico interessano il comodante-contribuente. La norma limita la possibilità di godere dell’agevolazione fiscale al proprietario-comodante che risieda nonché dimori nello stesso comune dove è situato l’immobile concesso in comodato e che non abbia altri immobili in Italia oltre l’abitazione principale. Per poter beneficiare della riduzione IMU e TASI è inoltre necessario registrare il contratto di comodato con i conseguenti oneri derivanti dalla registrazione a carico del contribuente (comodante).
Il codice civile riserva al comodato una normativa meno rigida rispetto a quella prevista per altre figure, in particolare per l’assenza di vincoli di forma, per la validità del contratto e per lo stesso tenore letterale dell’art. 1803 cod. civ. che definisce il comodato: “il contratto col quale una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il comodato è essenzialmente gratuito”.
Il contratto di comodato si perfeziona con la consegna del bene e da cui derivano obbligazioni poste a carico di una sola parte che, alcuni autori identificano nel comodatario (obbligo di restituire la cosa), altri nel comodante (obbligo di consentire il godimento della cosa al comodatario e di non pretenderne arbitrariamente la restituzione anticipata).
Per quanto riguarda l’oggetto, la norma prevede cose mobili e immobili, ed è controverso pensare un contratto di comodato che ha come oggetto beni immateriali, ovvero prestazione di servizi. In considerazione dell’obbligo del comodatario di restituire la stessa cosa ricevuta, i beni devono risultare necessariamente infungibili ed inconsumabili.
Nell’ambito dei rapporti tra privati accade frequentemente che un soggetto spinto da legami parentali, consenta a terzi di abitare un proprio immobile senza pretendere in cambio alcun corrispettivo, in forza del c.d. contratto di comodato di immobile ad uso abitativo. In relazione a quest’ultima tipologia di comodato sono sorte diverse problematiche interpretative in particolar modo per quanto concerne gli elementi della gratuità e della durata del contratto.
Relativamente alla durata il problema nasce dal fatto che il codice civile non individua limiti alla durata del comodato, attribuendo dunque alle parti la facoltà di determinarla liberamente, con la possibilità di non prevedere la fissazione di alcun termine del contratto. In tal caso se il termine finale oltre a non essere stato convenuto non è nemmeno ricavabile implicitamente dall’uso particolare cui la cosa è destinata, il comodatario, ai sensi dell’art. 1810 c.c. è tenuto a restituire la cosa a semplice richiesta del comodante, diversamente da quanto accade nell’ipotesi di comodato a termine dove ai sensi dell’art. 1809 c.c., il comodante può richiedere il bene solo alla scadenza del termine stabilito, salvo l’ipotesi di sopravvenuto bisogno urgente ed imprevedibile, nel qual caso può esigerne l’immediata restituzione.
Una delle caratteristiche essenziali del comodato è la gratuità che risulta insita nella struttura del contratto, tradizionalmente individuata nell’attribuzione gratuita e senza corrispettivo del godimento temporaneo di un bene. Da qui la qualificazione del comodato come contratto intuitus personae fondato su un elemento di fiducia personale che del resto, giustifica sia la previsione di cui all’art. 1804 c.c., ossia il divieto per il comodatario di concedere il godimento della cosa ad un terzo senza il consenso del comodante nonché, in caso di morte del comodatario, la possibilità per il comodante di esigere dagli eredi l’immediata restituzione della cosa.
Essendo un contratto essenzialmente gratuito, la previsione di un corrispettivo per il godimento del bene è incompatibile con l’elemento causale del comodato che a differenza di altri contratti reali, non prevede la possibilità di una variante onerosa e laddove fosse pattuita una controprestazione, potrebbero ricorrere gli estremi per inquadrare il contratto nello schema della locazione.
Nelle ipotesi in cui in un contratto di comodato di immobili sia previsto il pagamento di un compenso modesto o degli oneri condominiali, bisognerà valutare se le stesse siano idonee a trasformare il contratto di comodato in un contratto oneroso e quindi in un contratto di locazione.
Secondo un orientamento giurisprudenziale, la causa del contratto di comodato non verrebbe alterata dalla previsione di un beneficio per il comodante, purché lo stesso si mantenga nei limiti da non assumere la natura di corrispettivo del godimento del bene. Da qui la definizione di comodato modale, figura non prevista dal codice civile, ma ritenuta ammissibile nel nostro ordinamento giuridico con le dovute cautele, specialmente per quanto attiene ai tratti distintivi con il contratto di locazione.
In definitiva, se si prevede a carico del comodatario la corresponsione di un compenso per il godimento dell'immobile, solo nell’ipotesi in cui la somma sia di entità modesta, e tale da escludere la dissimulazione di un sottostante contratto di locazione, si potrà configurare un contratto di comodato modale.
Il contratto di comodato attribuisce al comodatario un diritto personale di godimento del bene che si specifica nel diritto di servirsi della cosa per l’uso determinato dal contratto o dalla natura della cosa stessa, cui corrispondono specifici obblighi inerenti la conservazione, la custodia, l’utilizzo del bene, la corresponsione delle spese ordinarie e la restituzione del bene ricevuto.
In quanto diritto personale di godimento esso non è opponibile al terzo acquirente della cosa “comodata” poiché, diversamente dai diritti reali, non attribuisce al comodatario il c.d. diritto di sequela, ossia il diritto di perseguire il bene presso qualunque soggetto si trovi.
Nell’ipotesi di alienazione di un bene immobile, il terzo acquirente non può subire alcun pregiudizio dall’esistenza di un precedente contratto di comodato, acquistando per effetto del trasferimento in suo favore, il diritto di ottenere la piena disponibilità del bene e quindi, di far cessare il godimento da parte del comodatario.
Tuttavia laddove a seguito dell’alienazione del bene il comodatario si trovi costretto a rilasciare l’immobile prima del termine convenuto, la giurisprudenza si è mostrata costante nel ritenere ammissibile un’eventuale richiesta di risarcimento nei confronti del comodante per i danni cagionati dall’anticipata restituzione del bene.
Vi sono delle ipotesi in cui il comodante può esigere l’immediata restituzione del bene e che si giustificano in relazione al carattere gratuito del contratto di comodato. Nello specifico il comodante può recedere immediatamente dal contratto di comodato nell’ipotesi di inadempimento degli obblighi di custodia, conservazione e utilizzo del bene secondo l’uso convenuto o la natura della cosa, e nel caso di un bisogno urgente e impreveduto.
In relazione al comodato, nel codice civile non è previsto nessun vincolo di forma né sostanziale, né probatoria, da qui la possibilità di stipulare un contratto sia per iscritto (sotto forma di atto pubblico, scrittura privata autentica o non autenticata) sia in forma verbale (un semplice accordo tra le parti) e di provarlo per mezzo di testimoni e per presunzioni, anche quando abbia ad oggetto il godimento di un bene immobile di durata superiore ai nove anni. Dal punto di vista pratico risulta logica l’opportunità di preferire la forma scritta, specialmente nelle ipotesi di comodato avente ad oggetto un bene immobile. Con riguardo ai contratti di comodato conclusi in ambito familiare, la forma scritta è opportuna in quanto permette di consacrare in un atto scritto la volontà delle parti di imprimere all’immobile la specifica destinazione a casa familiare e da cui discendono tutte le conseguenze, in termini di individuazione di un termine cui ancorare la restituzione del bene.
La forma scritta permette di attribuire data certa al contratto e dunque di risolvere eventuali conflitti tra più aventi causa dello stesso soggetto.
Inoltre solo la forma scritta può validamente dimostrare il titolo in forza del quale il comodatario abbia acquisito la disponibilità del bene, circostanza non trascurabile, specie nelle ipotesi di comodato senza determinazione di durata, per tutelare il comodante da una eventuale richiesta di usucapione del bene da parte del comodatario che, anziché qualificarsi come detentore, avanzi la pretesa di vantare sul bene il possesso continuato ai fini dell’usucapione.
Il contratto in forma scritta è necessario anche ai fini fiscali, perché permette di provare al fisco che non si tratta di una cessione o di un acquisto a titolo oneroso, e vincere cosi la presunzione che il bene non fosse concesso a titolo gratuito.
Per quanto attiene invece alla registrazione del comodato, il contratto di comodato verbale a differenza di quello scritto, non è sottoposto all’obbligo di registrazione a meno che non venga enunciato in altri atti, come previsto dall’art. 3 del testo unico concernente l’imposta di registro (DPR 131/1986). Tuttavia per beneficiare dell’agevolazione fiscale prevista dalla Legge di Stabilità 2016 in relazione agli immobili in comodato gratuito ai familiari, è necessario procedere alla registrazione anche dei contratti conclusi in forma verbale.
La Legge di Stabilità per il 2016 (Legge n. 208/2015) ha modificato la disciplina in materia di Imu e Tasi per gli immobili concessi in comodato d’uso, a decorrere dal 1° gennaio 2016.
La nuova disciplina prevede la riduzione del 50% della base imponibile ai fini dell’imposta municipale propria (IMU), oltre che ai fini del tributo per i servizi indivisibili (TASI), degli immobili non di lusso, concessi in comodato d’uso a figli e genitori.
Per beneficiare della riduzione il contratto deve essere registrato e il comodante deve risiedere anagraficamente e dimorare abitualmente nello stesso comune dove è situato l’immobile concesso in comodato. Per il riconoscimento dell’agevolazione è inoltre necessario che il comodante possegga in Italia oltre all’immobile dato in comodato d’uso, non più di un altro immobile ad uso abitativo non di lusso, e che lo stesso sia ubicato nel medesimo comune e adibito dal comodante a propria abitazione principale.
La stessa Legge di Stabilità ha stabilito l’abolizione della TASI per il possessore o il detentore che adibisce l’immobile non di lusso ad abitazione principale. A seguito della modifica in commento sugli immobili concessi in comodato d’uso a parenti in linea retta entro il primo grado, e che rispondano agli ulteriori requisiti sopra richiamati, la TASI sarà dovuta esclusivamente dal comodante-possessore nella misura stabilita dal comune in cui è situato l’immobile per l’anno 2015 ovvero in mancanza, nella misura del 90% dell’ammontare complessivamente dovuto del tributo, calcolato in entrambi i casi su una base imponibile decurtata del 50%.
Il D.L. 201/2011 (art. 13, comma 2), prima delle modifiche apportate dalla Legge di Stabilità per il 2016 rimetteva all’autonomia degli enti locali la possibilità di assimilare ad abitazione principale (non soggetta a IMU, nel caso di abitazione non di lusso), un (solo) immobile concesso in comodato d’uso a genitori e/o figli e dai medesimi utilizzato come abitazione principale.
In tale ipotesi la delibera doveva prevedere che l’agevolazione operasse o sulla rendita catastale fino a concorrenza del valore massimo di 500 euro (per la parte eccedente l’IMU e la TASI andavano pertanto pagate secondo le aliquote ordinarie), o in alternativa, nel solo caso in cui il valore ISEE del nucleo familiare del comodatario non fosse superiore a 15 mila euro (in tale fattispecie l’agevolazione operava sull’intero valore dell’immobile).
Il D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214 come modificato dalla Legge di Stabilità 2016 (art. 1, comma 10, lettera b)), stabilisce che ai fini del calcolo dell’imposta municipale propria la base imponibile è ridotta del 50 per cento: per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso comune in cui è situato l'immobile concesso in comodato. Il beneficio si applica anche nel caso in cui il comodante oltre all'immobile concesso in comodato possieda nello stesso comune un altro immobile adibito a propria abitazione principale, ad eccezione delle unità abitative classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.
La richiamata disposizione sottrae all’autonomia degli enti locali la possibilità di assimilare ad abitazione principale l’immobile concesso in comodato d’uso a genitori e figli, e subordina il beneficio concesso, ossia la riduzione del 50 per cento della base imponibile, al rispetto di condizioni particolarmente stringenti.
Ai sensi del D.L. n. 201/2011, per abitazione principale si intende l'immobile iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.
Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l'abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile.
Il legislatore chiarisce che l’abitazione principale può essere individuata in un'unica unità immobiliare, il che comporta che qualora siano adibite ad abitazione principale più unità, presumibilmente contigue accatastate separatamente, una sola a discrezione del contribuente, potrà beneficiare delle agevolazioni previste sulla prima casa, salvo procedere preventivamente al riaccatastamento unitario degli immobili.
Ai fini del riconoscimento del beneficio d’imposta è necessario che il contribuente e il suo nucleo familiare abbiano stabilito nell’immobile la residenza anagrafica, e vi risiedano abitualmente. La norma specifica che in relazione al nucleo familiare le agevolazioni per l’abitazione principale si applicano per un solo immobile anche nel caso in cui i componenti del nucleo abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio dello stesso comune.
Diverso è invece il caso in cui il componente del nucleo familiare abbia stabilito la propria residenza e dimora abituale in un comune differente. In tale ipotesi infatti, sarà possibile usufruire delle agevolazioni prima casa su entrambi gli immobili, sempreché non si tratti di una mera operazione elusiva ma sia motivata da un’effettiva e reale necessità.
L'imposta municipale propria non si applica al possesso dell'abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. Per pertinenze dell'abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un'unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all'unità ad uso abitativo.
Il contribuente può considerare come pertinenza dell’abitazione principale un’unità immobiliare per ciascuna delle seguenti categorie, fino ad un massimo di tre pertinenze:
Nel caso in cui il contribuente possieda più di una pertinenza appartenente alla stessa categoria catastale, può individuare a quale di esse applicare l’agevolazione. Poiché l’agevolazione compete al massimo su tre unità pertinenziali qualora vi siano due pertinenze accatastate unitamente all’unità abitativa appartenenti alla medesima categoria catastale (ad esempio, la cantina e la soffitta), si ritiene che il contribuente possa usufruire dell’agevolazione per l’abitazione principale solo per un’altra pertinenza classificata in una delle altre due diverse categorie.
Infine sebbene la disposizione contenuta nel D.L. n. 201/2011, come modificata dalla Legge di Stabilità 2016, nel disporre l’abbattimento al 50% della base imponibile degli immobili dati in comodato d’uso ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, non richiami espressamente le relative pertinenze, la medesima agevolazione si dovrebbe estendere anche a quest’ultime. In caso contrario si creerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra le pertinenze accatastate unitamente all’unità immobiliare ad uso abitativo, dagli altri immobili pertinenziali separatamente accatastati, ma ugualmente asserviti all’unità principale.
La disposizione in esame esclude espressamente dal beneficio gli immobili di lusso, ovvero le unità immobiliari appartenenti alle seguenti categorie catastali:
I suddetti immobili seppur concessi in comodato d’uso a parenti in linea retta entro il primo grado che l’adibiscono a propria abitazione principale, non possono mai beneficiare dell’abbattimento della base imponibile del 50 per cento.
L’agevolazione non è applicabile inoltre nel caso in cui appartenga a una delle sopra elencate categorie di lusso l’eventuale seconda abitazione posseduta dal comodante nel medesimo comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato.
A seguito delle modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità per il 2016, gli immobili di lusso concessi in comodato d’uso ai medesimi soggetti e adibiti ad abitazione principale del comodatario sono soggetti alle aliquote ordinarie IMU e TASI, salvo che il comune stabilisca nell’ambito e nei limiti della propria autonomia regolamentare, un particolare regime di favore.
Il legislatore ha stabilito che ai fini del riconoscimento dell’agevolazione in commento, vi è la previsione della necessaria registrazione del contratto di comodato. Il contratto di comodato di beni immobili redatto in forma scritta è sempre soggetto a registrazione in termine fisso (nella misura di euro 200), e il termine ultimo di registrazione è di 20 giorni dalla data dell’atto. Potranno beneficiare dell’agevolazione per l’intero anno 2016, i soli contratti di comodato redatti in forma scritta al più tardi il 16 gennaio 2016, e registrati entro il successivo 5 febbraio, e ciò in quanto ai sensi dell’art. 9, comma 2, del DLgs n. 23/2011, l’imposta municipale propria: è dovuta per anni solari proporzionalmente alla quota ed ai mesi dell'anno nei quali si è protratto il possesso, a tal fine il mese durante il quale il possesso si è protratto per almeno quindici giorni è computato per intero.
Per i contratti redatti successivamente alla data del 16 gennaio 2016, la decorrenza degli effetti ai fini IMU andrà di volta in volta verificata sulla base della regola stabilita dall’art. 9, comma 2, del DLgs n. 23/2011.
Il contratto di comodato è soggetto ad imposta di bollo in caso d’uso, ovvero in sede di registrazione nella misura di 16 euro a foglio.
Comodato d’uso in forma verbale.
I contratti verbali soggetti a registrazione sono solo quelli enunciati dall’art. 3 del DPR n. 131/1986, tra i quali non rientrano i comodati d’uso.
La registrazione del contratto di comodato anche in forma verbale è una condizione necessaria per poter beneficiare della riduzione del 50 per cento della base imponibile introdotta dalla Legge di Stabilità 2016 a decorrere dal 1° gennaio 2016.
In merito, il MEF si è espresso con nota n. 2472 del 29 gennaio 2016 precisando che in questo caso possa trovare applicazione l'art. 3, comma 2, della L. 212/2000, in base al quale "le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti".
Ne consegue che per i contratti di comodato d’uso in forma verbale già in essere al 1° gennaio 2016, la registrazione doveva essere effettuata entro il 1° marzo 2016.
Per poter beneficiare dell'agevolazione sul contratto di comodato è prevista una ulteriore disposizione, in particolare il comodante deve risiedere anagraficamente nonché dimorare abitualmente nello stesso comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato. Il comodante non può possedere ulteriori immobili in Italia se non eventualmente quello non di lusso, dallo stesso adibito ad abitazione principale e necessariamente situato nel medesimo comune. In occasione di Telefisco 2016 è stato precisato che il richiamo al possesso di altri immobili deve intendersi riferito ai soli immobili ad uso abitativo. Al contrario non preclude tale facoltà né il possesso di immobili di qualunque tipologia da parte del comodatario, né il possesso di immobili di tipologia diversa dall’uso abitativo da parte del comodante.
Per beneficiare delle nuove disposizioni in materia di comodato è necessario attestare il possesso dei requisiti fissati dalla norma attraverso la presentazione della dichiarazione IMU. La dichiarazione deve essere presentata:
Pertanto per i contratti di comodato d’uso già in essere al 1 gennaio 2016, e per quelli concessi nel corso dell’anno, la dichiarazione dovrà essere presentata entro il 30 giugno 2017.
Quadro normativo |
Decreto Legge n. 201 del 6 dicembre 2011 Legge n. 214 del 22 dicembre 2011 Legge n. 208 del 28 dicembre 2015 Nota MEF n. 2472 del 29 gennaio 2016 Articoli 1803 -1812 Codice Civile |
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