Scioglimento società di persone: conseguenze ispettive

Pubblicato il 13 giugno 2014

Alfa snc risulta composta da due soci. Caio, di Alfa Snc, a seguito del decesso dell’altro socio Tizio, ha continuato a svolgere attività di impresa, liquidando la quota del de cuius agli eredi di questi e senza ricostituire la pluralità dei soci alla scadenza del termine di cui all’art. 2724 n. 4 c.c.. Spirato il periodo di quiescenza, Caio, senza che avesse comunicato alcunché alla Camera di commercio, viene sottoposto a verifica da parte degli ispettori del lavoro, i quali entrando in azienda e confidando nelle risultanze camerali ritengono di trovarsi al cospetto di Alfa Snc. Quali conseguenze è prevedibile attendersi dagli ispettori? (Clicca su accedi per visualizzare il documento integrale e i relativi allegati)



Premessa

Generalmente le verifiche ispettive vengono effettuate nei confronti di imprese in forma individuale o collettiva, che risultano soggettivamente composte secondo gli ordinari schemi del diritto societario. Può tuttavia verificarsi l’ipotesi in cui all’atto dell’ispezione, la compagine aziendale risulti destrutturata, nel senso che non abbia una numero di soci sufficienti a evitarne lo scioglimento. Canalizzando tale vicenda nelle società di persone si tratta di verificare quali possano essere gli sviluppi dell’ispezione e le possibili conseguenze per i soggetti coinvolti nel procedimento di controllo.

La mancanza della pluralità dei soci

In termini generali l’art. 2247 c.c. definisce la società commerciale come il contratto di due o più persone mediante il quale queste ultime conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica, allo scopo di dividerne gli utili. Salve le ipotesi di entità unipersonali, perché possa essere costituita una società, occorre quantomeno la presenza di due soci. Segnatamente, qualora la società sia composta da due soli soci, lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad uno di essi comporta il venir meno della pluralità dei soci, e, quindi, anche lo scioglimento della società ai sensi dall’art.2272 n. 4 c.c.. Tuttavia, mentre lo scioglimento del vincolo particolare tra socio e società si verifica immediatamente, il vincolo sociale entra in uno stato di quiescenza per un periodo di sei mesi, durante il quale la società continua a operare in forma unipersonale a tempo determinato. In particolare nel corso di tale lasso temporale il rimanente socio conserva il potere di compiere le operazioni necessarie volte alla liquidazione della quota del socio uscente e alternativamente al mantenimento in vita della società, mediante la ricostituzione della pluralità dei soci, oppure allo scioglimento della società stessa, procedendo se del caso all’avvio della fase di liquidazione.

La liquidazione delle società di persone

La liquidazione consiste in una serie di operazioni finalizzate principalmente alla conclusione delle attività aziendali, che si concretizza nella vendita dei beni, nel pagamento dei debiti e nella riscossione dei crediti al fine di massimizzare, nell’interesse dei soci, la realizzazione dei diritti patrimoniali dell’impresa. Occorre però osservare che nelle società di persone il procedimento formale di liquidazione, includente la nomina del liquidatore, non costituisce atto dovuto e consequenziale allo scioglimento della società, ma rappresenta una mera facoltà, ben potendo il socio rimanente definire i rapporti di dare e avere secondo altra attività ordinaria e senza formalismi di sorta.
La giurisprudenza è unanime nel ritenere che “il procedimento di liquidazione di società non è posto dalla legge in modo assoluto, costituendone una fase facoltativa nell’interesse dei soci, i quali possono evitarla pervenendo all’estinzione dell’ente, attraverso una divisione concordata, ovvero chiedendo al giudice la definizione dei reciproci rapporti di dare e avere, anche secondo le modalità proprie per lo scioglimento della comunione ordinaria”.
Se questo è vero può però ricorrere il caso che il socio rimanente, indipendentemente dall’avere liquidato o meno la quota del socio uscente o deceduto, non ponga in essere le operazioni preordinate alla chiusura della società, ma, spirato il semestre di cui all’art. 2272 n. 4 c.c., continui a esercitare monoliticamente l’attività di impresa, sebbene questa risulti ancora iscritta nel registro delle imprese in forma societaria.
Ci si chiede allora se, a fronte di tale evenienza, la procedura di liquidazione possa essere promossa d’impulso dai creditori della società, ovvero, qualora l’eventualità de qua non fosse percorribile, se la natura di tale società resti comunque immutata o venga trasformata in ditta individuale. I quesiti spiegano valenza anche nei confronti del personale ispettivo, poiché ove quest’ultimo dovesse riscontrare violazioni in materia lavoristica scaturirebbero dall’accertamento crediti per l’erario, con la conseguenza che la DTL avrebbe interesse a individuare le forme e i soggetti tenuti all’adempimento del debito.

Società di persone: prosecuzione in forma unipersonale o trasformazione in ditta individuale?


Si può cominciare con l’osservare che secondo la migliore dottrina, tanto il creditore sociale, quanto il creditore particolare del socio non abbiano interesse a conseguire la chiusura della società, dal momento che entrambi, in assenza di estinzione della società, conserverebbero intatto il potere volto alla realizzazione dei rispettivi crediti, dal momento che è comunque operante il regime di responsabilità illimitata dei soci. La stessa giurisprudenza di legittimità, in ordine all’ipotesi di decesso del socio e liquidazione della quota in favore degli eredi del de cuius, ha negato che questi potessero chiedere la procedura di liquidazione, giacché questa sarebbe appannaggio esclusivo dell’interesse dei soci. Ciò significa che in assenza di azione da parte di costoro nessun altro avrebbe la legittimazione a procedere alla chiusura della società, quantunque fosse spirato il termine di sei mesi di cui all’art. 2272 n. 4 c.c..

  1. L’orientamento di parte della dottrina

Secondo autorevole dottrina in tale ipotesi, la natura unipersonale della società, venutasi a determinare nel corso dei sei mesi, si stabilizzerebbe e, analogamente a quanto si verifica per le società di capitali, ci si troverebbe al cospetto di una società di persone unipersonale a tempo indeterminato. Ciò sul presupposto che la pluralità dei soci sia un elemento essenziale per la costituzione della società stessa, ma non per la sua sopravvivenza e per il relativo funzionamento. Tant’è che secondo detta prospettazione sarebbe ammissibile anche la ricostituzione tardiva della pluralità dei soci.

  1. La posizione della giurisprudenza e della prassi amministrativa

Di diverso avviso invece è la giurisprudenza. Quest’ultima muove dall’assunto che la mancata cancellazione della società allo spirare del termine dei sei mesi e la prosecuzione dell’attività da parte dell’unico socio comporterebbe una trasformazione informale e involutiva della società in ditta individuale. Tuttavia non si tratterebbe di una trasformazione in senso proprio, che invero riguarda unicamente i cambiamenti tra società (società di persone in società capitali e viceversa) e non comporta alcuna novazione soggettiva, ma solo una mutazione formale nell’organizzazione del medesimo ente. Piuttosto, la metamorfosi della società di persone in ditta individuale realizzerebbe una trasformazione impropria, perché postulerebbe una vicenda successoria tra soggetti distinti, il cui avvicendamento passerebbe ipso facto e attraverso lo scioglimento della società e la relativa liquidazione. Quest’ultima non richiederebbe un procedimento formale, ma in linea con l’orientamento giurisprudenziale sopra citato, si realizzerebbe in modo informale, mediante assegnazione dei beni aziendali all’unico socio rimasto. La circostanza poi che tale successione involutiva non risulti dal registro delle imprese non spiegherebbe effetti impeditivi per il fenomeno successorio, atteso che il mancato aggiornamento sarebbe inerente al piano pubblicitario e avrebbe valenza semmai dichiarativa. Tutt’al più l’omesso aggiornamento risulterebbe soggetto a sanzioni da parte della Camera di commercio.

Aderire all’una o all’altra prospettazione ha ovviamente implicazioni dirette anche per gli ispettori del lavoro ai quale in assenza di indicazioni ministeriali è comunque richiesta una scelta che indirizzi in un senso o nell’altro il procedimento ispettivo.

Il caso concreto

Segnatamente e per quel che riguarda il caso di specie risulta che Caio, socio di Alfa Snc, a seguito del decesso dell’altro socio, ha continuato a svolgere attività di impresa, liquidando la quota del de cuius agli eredi di questi e senza ricostituire la pluralità dei soci alla scadenza del termine di cui all’art. 2724 n. 4 c.c.. Spirato il periodo di quiescenza, Caio non ha comunicato alcunché alla Camera di commercio, sicché il personale ispettivo, all’atto dell’accesso, confidando nelle risultanze camerali, ha ritenuto di sottoporre a verifica la società e non già una ditta individuale. Orbene, fermo il principio della personalità della sanzione in base al quale quest’ultima va irrogata a colui che effettivamente ha commesso l’illecito, ove si opti per la soluzione caldeggiata dalla dottrina gli eventuali provvedimenti sanzionatori, anche le violazioni riscontrate dopo la scadenza del termine semestrale, dovranno essere adottati nei confronti di Alfa quale obbligata solidale e datrice di lavoro in veste di società di persone unipersonale a tempo indeterminato. Al contrario, ove si ritenga più plausibile l’indirizzo giurisprudenziale, i provvedimenti, per il periodo successivo al semestre, andranno applicati nei confronti di Caio quale titolare di impresa individuale. In tale caso appare verosimile che il personale ispettivo proceda a segnalare il mancato aggiornamento del registro d’impresa alla Camera di commercio per i provvedimenti di competenza.

NOTE

i Cass. civ. Sez. I, 29/05/2003, n. 8599; Cass. civ. Sez. II, 26-02-2007, n. 4377; Cass. civ. Sez. I, 14/03/2001, n. 3671; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 16/05/2002; Trib. Palermo, 13/06/1984.

ii L’omessa liquidazione della quota agli eredi comporta inadempimento, cfr. Cass. civ. Sez. I, 23/03/2005, n. 6263.

iii Le posizioni sono riassunte in Consiglio Nazionale Notariato - Studio n. 156-2009/I.

iv Cass. civ. Sez. I, 14-03-2001, n. 3671 e giurisprudenza da essa richiamata; analogamente Cass. civ. Sez. I, 29/05/2003, n. 8599; utilizza invece la locuzione “ciascun interessato” Trib. Genova (Ord.), 04/05/2004.

v Cfr. Studi CNN 13-2008/I di Antonio Ruotolo e lo Studio n.774 , Mancata ricostituzione della pluralità dei soci e continuazione dello svolgimento dell’impresa di M. STELLA RICHTER e GIUSEPPE FERRI JR.

vi Cfr. Cass. civ. Sez. V, 16/02/2007, n. 3671.

vii Cass. civ. Sez. II, 18/09/2012, n. 15622.

viii Sul punto cfr. anche Ris. Ag. Entrate 30.07.2008, n. 329/E; Circ. Ag. Entrate 26.02.2008, n. 13/E par. 1.10.

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