Con sentenza n. 16815 depositata il 13 agosto 2015, la Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha respinto il ricorso di una nota s.p.a., la quale, convenendo in giudizio alcuni giornalisti e conduttori televisivi, ne aveva richiesto la condanna al risarcimento dei danni per asserita lesione della propria reputazione, in occasione di un'intervista durante una trasmissione tv.
La società ricorrente lamentava, in particolare, come i giudici di merito avessero impropriamente invocato il diritto di critica e/o satira, quale scriminante, pur a fronte della diffusione di notizie – oltre che altamente offensive – false ed incomplete.
La Cassazione, nel respingere detta censura, ha colto l'occasione per ribadire che il diritto di critica, a differenza di quello di cronaca, non si concreta nella narrazione di fatti, ma si esprime in un giudizio che, come tale, non può che essere fondato su una soggettiva interpretazione di fatti e comportamenti, corrispondente al punto di vista di chi lo manifesta. Ciò, fermo restando che il fatto o comportamento presupposto ed oggetto della critica, deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta, ma ragionevolmente putativa, anche per le fonti da cui proviene.
Nel caso di specie – ha proseguito la Cassazione – è stato pienamente dimostrato, in sede di merito, come i fatti riportati nell'intervista "incriminata", fossero emersi nel corso di indagini giudiziarie (sebbene poi conclusesi con l' archiviazione delle accuse a carico dei vertici della società ricorrente).
Su tali dati e fatti obiettivi, si era dunque fondato il giudizio espresso nel corso della trasmissione tv, ascrivibile al diritto di critica, nei termini sopra riportati.
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