Sì al danno esistenziale, secondo le Tabelle di Milano

Pubblicato il 30 settembre 2015

Con sentenza n. 19211 depositata il 29 settembre 2015, la Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha dato ragione ad un automobilista danneggiato a seguito di un sinistro stradale, che lamentava – avverso la pronuncia di merito – la mancata applicazione delle Tabelle di Milano nella quantificazione del danno non patrimoniale; applicazione che avrebbe portato ad un risarcimento nettamente superiore rispetto a quello quantificato dalla Corte territoriale.

Nell'accogliere il ricorso, la Cassazione ha innanzitutto contestato l'assunto secondo cui, allorquando siano presi in considerazione gli aspetti o le ripercussioni relazionali del sinistro, il danno esistenziale vada sempre e comunque assorbito nel danno biologico.

E' invero necessario che nella quantificazione del danno non patrimoniale, il giudice tenga adeguatamente conto – in base ad una valutazione equitativa che non sia irrisoria, socialmente iniqua e che consideri tutte le peculiarità del fatto concreto – di eventuali cambiamenti di vita del danneggiato o alterazioni della personalità. Ciò, pur facendo riferimento ai parametri impiegati per il danno biologico ma adeguatamente motivando detta differente voce di risarcimento (c.d. danno esistenziale), sulla presunta violazione di norme di rango costituzionale, che impone al danneggiato di condurre una vita diversa e peggiore rispetto a quella precedente il sinistro.

A fronte dell'unicità del ristoro (che dunque può essere comprensivo di diverse voci), per fare in modo che esso sia più integrale possibile - prosegue la Corte – è noto che il giudice debba far riferimento a dei parametri che, se da una parte garantiscano la parità di trattamento tra soggetto e soggetto ed assicurino la prevedibilità del danno , dall'altra, tuttavia, siano abbastanza flessibili da permettere la personalizzazione della liquidazione.

Invero, si è ritenuto che lo strumento a tal fine più adeguato sia il ricorso ad apposite tabelle, ed in particolare, alle Tabelle di Milano, che con il tempo hanno assunto e palesato una vocazione "nazionale", in quanto recanti parametri maggiormente idonei a consentire di tradurre il concetto di "equità valutativa" e ad evitare ingiustificate disparità.

La mancata adozione di dette tabelle si appalesa dunque come vizio censurabile in Cassazione, sicché risulta incongrua la motivazione ove il giudice – come nel caso di specie – non abbia dato conto della preferenza accordata ad altri sistemi di calcolo, che hanno poi portato ad una quantificazione del tutto inferiore.

 

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