Le Sezioni unite civili di Cassazione si sono pronunciate per quel che riguarda la vicenda di un avvocato che era stato sanzionato disciplinarmente in quanto ritenuto responsabile dell'indebita ritenzione di somme riscosse per conto di un cliente.
Al legale era stata applicata la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per undici mesi e detta misura era stata confermata anche dal Consiglio nazionale forense.
Quest’ultimo, in particolare, aveva ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione dell'azione disciplinare formulata dal professionista asserendo che la violazione deontologica risultasse integrata da una condotta protrattasi nel tempo.
Da qui il ricorso in Cassazione dell’avvocato.
I giudici di legittimità, in questo contesto, hanno aderito alle considerazioni già esposte dal Cnf, ribadendo che l'azione disciplinare nei confronti dell'avvocato si prescrive nel termine di cinque anni, che decorrono dal giorno di realizzazione dell'illecito, ovvero, se questo consista in una condotta protratta, dalla data di cessazione della condotta stessa.
Nel caso di specie, era pacifico che il legale, per conto del cliente, avesse riscosso diverse somme e che tali somme non erano state versate all’assistito fino all'inizio del procedimento disciplinare.
E secondo le Sezioni unite – sentenza n. 13379 depositata il 30 giugno 2016 - il disposto dell'articolo 44 del Codice deontologico forense vigente ratione temporis, non poteva essere interpretato nel senso della irrilevanza della successiva indebita ritenzione del denaro riscosso.
Ed infatti, il comportamento del legale, nella vicenda esaminata, presentava i connotati tipici della continuità della violazione deontologica.
Ne conseguiva che il protrarsi di tale condotta fino alla decisione disciplinare fosse ostativa al decorso del termine prescrizionale.
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