Con ordinanza n. 30613 del 28 novembre 2024, la Corte di Cassazione, Sezione lavoro, ha affrontato una causa avente ad oggetto la legittimità del licenziamento disciplinare disposto nei confronti di un lavoratore che ricopriva il ruolo di direttore di un punto vendita.
Il licenziamento traeva origine da alcuni episodi durante i quali il lavoratore, senza informare il proprio responsabile, aveva ritardato il rientro al lavoro dopo la pausa pranzo e si era successivamente allontanato dalla città sede del punto vendita (Olbia) per recarsi a Milano, giustificando telefonicamente la sua assenza con motivi legati alla salute del coniuge.
In questa comunicazione, aveva rassicurato sull'eventuale possibilità di tornare al lavoro se necessario, lasciando intendere di trovarsi ancora nella città del punto vendita.
La contestazione disciplinare aveva qualificato questa condotta come truffaldina, ravvisando una grave violazione degli obblighi contrattuali e un abuso di fiducia.
La sanzione del licenziamento era stata ritenuta conforme alle previsioni del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) applicato, il quale prevede l’espulsione nei casi di violazione grave degli obblighi d’ufficio e abuso della fiducia.
Nel suo ricorso in Cassazione, il lavoratore aveva sollevato diverse questioni, tra cui l'erronea valutazione della documentazione prodotta, la presunta violazione del diritto di difesa per mancata trasmissione dei documenti aziendali alla base della contestazione e la sproporzione della sanzione rispetto all’illecito commesso.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto tutte le doglianze avanzate dal ricorrente.
Gli Ermellini, in primo luogo, hanno ritenuto inammissibile il primo motivo di ricorso, in quanto il lavoratore non aveva dimostrato di aver sollevato la questione della qualificazione dell’assenza come "ferie" nei precedenti gradi di giudizio.
È stato evidenziato, sul punto, che la semplice produzione di documenti in giudizio non equivale alla loro allegazione come elementi probatori rilevanti.
Il secondo motivo è stato considerato infondato.
La Corte ha rilevato che la contestazione disciplinare era sufficientemente chiara e tempestiva da consentire al lavoratore di difendersi adeguatamente, indipendentemente dalla trasmissione di ulteriori documenti.
Anche il terzo motivo è stato rigettato.
La Cassazione ha escluso che la condotta potesse essere considerata una semplice assenza ingiustificata, punibile con una sanzione conservativa.
Ha invece confermato la qualificazione della condotta come grave violazione degli obblighi contrattuali, aggravata dalla pianificazione fraudolenta e dall’assenza di considerazione delle esigenze aziendali, elementi incompatibili con le responsabilità del ruolo di direttore.
Nella propria disamina, il Collegio di legittimità ha ribadito che il giudizio sulla proporzionalità della sanzione è di competenza esclusiva del giudice di merito, salvo evidenti errori logici o giuridici.
In definitiva, la condotta del lavoratore è stata ritenuta non solo incompatibile con i suoi doveri professionali, ma anche tale da giustificare il licenziamento per giusta causa.
Sintesi del caso | Un lavoratore, direttore di un punto vendita, è stato licenziato per una condotta ritenuta fraudolenta, avendo ritardato il rientro al lavoro senza avvisare, lasciato la città senza preavviso e giustificato l'assenza con motivazioni non veritiere. |
Questione dibattuta | Il lavoratore ha contestato la legittimità del licenziamento sollevando tre motivi: errata valutazione dei fatti e documenti (prospetto paga), violazione del diritto di difesa per mancata trasmissione di documenti, sproporzione della sanzione rispetto alla condotta. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte ha rigettato il ricorso. Ha giudicato la condotta del lavoratore come una grave violazione degli obblighi contrattuali, qualificandola come abuso di fiducia e comportamento incompatibile con il ruolo ricoperto, giustificando il licenziamento per giusta causa. |
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