Il rimborso destinato a compensare il danno derivante dall'impossibilità di svolgere l'attività per cui è stata costituita la società controllata all'estero, nonché le ingenti spese inutilmente sostenute per l'avvio dell'impresa, non può essere attribuito a nessuna delle categorie di reddito stabilite dalla Direttiva ATAD e integrate nel sistema normativo nazionale, in particolare dall'articolo 167, comma 4, lett. b) del TUIR.
Pertanto, non sussistono i presupposti per l'applicazione della normativa CFC, nemmeno rispetto alla condizione che richiede che oltre un terzo dei ricavi complessivi provengano dai redditi passivi previsti dall'articolo 167, comma 4, lett. b) del TUIR, che recepisce la legislazione dell'Unione Europea.
E’ il chiarimento che arriva dall’Agenzia delle Entrate tramite il principio di diritto n. 4 del 14 aprile 2025.
La regolamentazione riguardante le Controlled Foreign Companies (CFC), disciplinata dall'articolo 167 del TUIR, come aggiornato dal recepimento della direttiva UE ATAD (n. 2016/1164) e dal decreto sulla fiscalità internazionale (n. 209/2023), definisce le modalità di attribuzione dei redditi delle società controllate in paesi a bassa imposizione fiscale, con l'intento di impedire che i contribuenti italiani trasferiscano utili al fine di ridurre il carico fiscale globale.
In questo contesto, l'Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 18/2021, ha precisato che i regimi CFC non solo hanno lo scopo di evitare il rinvio dell'imposizione, ma perseguono anche un forte obiettivo antiabuso, cercando di individuare pratiche di pianificazione fiscale che possano danneggiare le entrate fiscali degli Stati.
Il contrasto al trasferimento di utili verso giurisdizioni a bassa tassazione viene attuato dalla norma tramite un meccanismo di riallocazione del reddito dell'entità estera al soggetto residente che la controlla, a condizione che siano rispettate specifiche condizioni, garantendo così la trasparenza e l’imposizione, indipendentemente dal fatto che il reddito sia effettivamente percepito.
Infatti, secondo l'articolo 167 del TUIR, l'applicazione delle norme CFC dipende dal verificarsi simultaneo di tre condizioni:
il controllo, sia giuridico che economico, di una società estera da parte di un individuo residente in Italia;
la società estera controllata deve essere soggetta ad una tassazione effettiva troppo bassa;
la società estera controllata deve generare ricavi provenienti da redditi passivi (passive income), come definiti nella stessa norma, che superano un terzo del totale dei suoi ricavi.
Ai fini della normativa CFC, vengono considerati passive income le seguenti tipologie di proventi:
La Direttiva ATAD, all'articolo 7, paragrafo 2, prevede un'analoga elencazione.
Posto ciò, l’Agenzia delle Entrate, con il principio di diritto n. 4 del 14 aprile 2025, ritiene che il compenso per il danno, ottenuto tramite un accordo transattivo a causa della cessazione di un'attività economica reale imputabile alla parte avversa, non possa essere considerato come reddito passivo.
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