Con sentenza n. 19883 depositata il 6 ottobre 2015, la Corte di Cassazione, terza sezione civile, ha accolto il ricorso di alcuni privati cittadini, a cui l'amministrazione comunale aveva concesso la facoltà di costruire un immobile da adibire in parte ad opificio ed in parte ad abitazione. Tuttavia il Comune qui resistente, aveva in seguito sospeso pià volte la suddetta concessione – mediante provvedimenti giudicati poi illegittimi dal giudice amministrativo – così protraendo i lavori per diversi anni.
I ricorrenti avevano dunque convenuto in giudizio l'ente comunale affinchè risarcisse tutti i danni patrimoniali che ne erano derivati; risarcimento accordato in primo e secondo grado, sebbene la Corte d'Appello non avesse tuttavia ritenuto sussistere dolo o colpa in capo all'amministrazione, nonostante l'adozione di provvedimenti illegittimi.
E proprio in riferimento a tale questione, i ricorrenti avevano censurato la decisione, lamentando la presunta violazione degli artt. 1176 e 2043 c.c.
Nell'accogliere la censura, la Cassazione ha innanzitutto chiarito che la regola di comune prudenza di cui all'art. 1176 comma 2 c.c., dalla cui violazione può scaturire la colpa, vale per tutti; per il cittadino, per il professionista e tanto più per la pubblica amministrazione. Trattasi infatti di regola generale all'interno del sistema delle obbligazioni, suscettibile di applicazione in qualsiasi ipotesi di inadempimento o responsabilità aquiliana.
Ed in proposito, per stabilire se un'amministrazione abbia tenuto o meno una condotta colposa, occorre confrontare il suo agire con quello che, nelle medesime circostanze, avrebbe tenuto un'amministrazione "virtuosa". Vale a dire – precisa la Corte – un'amministrazione che (ai sensi art. 1 Legge 241/1990 e 97 Cost.):
rispetta la legge;
agisce in modo efficiente senza inutili aggravi per i cittadini;
non perde tempo ed agisce a ragion veduta;
è composta di funzionari preparati, efficienti e zelanti.
Ora nel caso di specie – conclude la Cassazione – l'amministrazione in questione ha palesemente violato il suddetto art. 1176 c.c., posto che appare del tutto sorprendente che un ente comunale (ovviamente tenuto a conoscere la legge, ed in special modo quella locale) abbia atteso ben due anni prima di addivedersi che un provvedimento a suo tempo concesso fosse contrario al Piano Regolatore del proprio territorio.
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