Legittimo il licenziamento disciplinare comminato al lavoratore per ripetuto abuso di permessi sindacali.
La Suprema corte ha rigettato il ricorso con cui un dipendente aveva impugnato la decisione di merito, confermativa del licenziamento per giusta causa irrogatogli dal datore di lavoro.
Allo stesso era stato contestato di avere, quale rappresentante per la sicurezza del sito produttivo dove lavorava, fruito di permessi giornalieri sindacali, per oltre tre mesi consecutivi, utilizzandoli per finalità personali, diverse da quelle per le quali gli stessi erano stati previsti e concessi.
L'uomo si era rivolto agli Ermellini lamentando l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui era stato ritenuto che gravasse su di lui la prova della infondatezza degli addebiti contestati, in contrasto con il principio secondo cui è la parte datoriale a dover provare la sussistenza della giusta causa o giustificato motivo soggettivo alla base del recesso.
Secondo la sua difesa, in particolare, tale prova non poteva dirsi raggiunta sulla scorta del report investigativo depositato dalla controparte, a suo dire non realmente rappresentativo dell'attività da egli espletata.
Con ordinanza n. 17287 del 27 maggio 2022, la Corte di cassazione ha giudicato il predetto motivo di ricorso infondato.
Secondo i giudici di Piazza Cavour, il ragionamento reso dalla Corte d'appello non si poneva affatto in contrasto con i principi in tema di onere probatorio, onere interamente gravante sulla parte datoriale.
La Corte territoriale, infatti, aveva osservato che le risultanze dell'indagine investigativa svolta nei confronti del ricorrente nei giorni in cui egli aveva usufruito dei permessi connessi all'incarico di rappresentante per la sicurezza, deponevano nel senso della oggettiva impossibilità di gran parte delle attività svolte con quelle proprie di tale incarico.
Queste risultanze, peraltro, erano state confermate in sede di prova testimoniale dall'investigatore.
Una volta che era stato contestato il mancato svolgimento delle attività proprie del rappresentante per la sicurezza, quindi, era sul lavoratore che gravava l'onere di dimostrare di essere stato effettivamente impegnato nell'espletamento dell'incarico.
Secondo il Collegio di legittimità, in definitiva, nella sentenza impugnata non era ravvisabile alcun sovvertimento dell'onere della prova in tema di giusta causa del licenziamento: in essa, era stato correttamente ritenuto, a fronte di un quadro probatorio consolidatosi nel senso dell'attribuibilità al lavoratore del fatto contestato, che spettasse a quest'ultimo l'onere di offrire elementi idonei a incrinare tale quadro, onere ritenuto in concreto non assolto.
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