Precisazioni dalla Cassazione sul diritto ad ottenere la restituzione delle prestazioni rimaste senza causa a seguito di pronuncia di risoluzione del contratto.
In particolare, è stato evidenziato come il diritto alla restituzione, pur sorgendo ipso iure per effetto della pronuncia risolutoria, soggiaccia al principio della domanda; rimane ossia preclusa al giudice la possibilità di pronunciare d'ufficio un’eventuale condanna alla restituzione delle dette prestazioni.
A seguire, è stato altresì puntualizzato che la facoltà di mutatio libelli riconosciuta dall'articolo 1453 secondo comma del Codice civile, ed ossia la possibilità per l'attore di sostituire l'originaria domanda di adempimento del contratto con la domanda di risoluzione dello stesso, si estende anche alla domanda consequenziale e accessoria di restituzione.
Questo, tuttavia, a condizione che detta ultima domanda venga proposta contestualmente o, comunque, nel medesimo grado di giudizio in cui è proposta la prima, mentre è esclusa la possibilità per la parte di aggiungere nel giudizio di appello, alla domanda di risoluzione del contratto proposta in primo grado, la domanda di restituzione delle prestazioni rimaste senza causa a seguito di pronuncia di risoluzione.
Per finire, la Suprema corte ha precisato che qualora la domanda di adempimento del contratto sia stata proposta ab initio nel giudizio di primo grado, e, successivamente, l'attore abbia, nel corso del medesimo grado, modificato la domanda iniziale ai sensi dell'articolo 1453 citato senza tuttavia avanzare domanda di restituzione delle prestazioni, è da ritenere preclusa al giudice d'appello la possibilità di prendere in esame la domanda restitutoria avanzata per la prima volta in grado di appello.
Ed infatti, si tratterebbe di domanda nuova, inammissibile in sede di gravame.
Sono questi i principi di diritto affermati dalla Seconda sezione civile di Cassazione nel testo della sentenza n. 15461 del 26 luglio 2016.
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