La responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale.
Occorre piuttosto verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del professionista, se un danno vi sia effettivamente stato ed, infine, se, ove il legale avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni. Difettando ciò, verrebbe a mancare la prova del nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, respingendo la richiesta di un imprenditore, di condanna del proprio avvocato per responsabilità professionale, adducendo a carico di quest’ultimo, una serie di negligenze nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnativa di delibere assembleari (sfociato con l’esclusione del ricorrente dalla compagine della società).
Secondo la Corte Suprema - con sentenza n. 10698 del 24 maggio 2016 - i giudici di merito, nel respingere la domanda di risarcimento, hanno correttamente escluso che il ricorrente avesse fornito allegazioni e prove in ordine alla sussistenza del nesso eziologico tra la condotta del professionista ed il pregiudizio derivatogli, non potendo per l’appunto il danno coincidere con la condotta negligente del legale.
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