L’agenzia delle Entrate, con due risposte ad interpelli del 25 giugno 2019, fa luce sul regime fiscale agevolato per gli impatriati. La mancata iscrizione all’Aire, si specifica, non è di ostacolo all’agevolazione.
Un contribuente, attualmente residente a Londra ma rientrante in Italia nel 2019, chiede di poter fruire del regime agevolato per i lavoratori impatriati, di cui articolo 16, comma 2, Dlgs n. 147/2015, facendo presente di essere iscritto all’Aire dal 2017.
Tale regime è riservato a coloro che:
Per chi rientra in tali ambiti, si prevede che i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50 per cento.
I soggetti devono trasferire in Italia la residenza ed impegnarsi a permanervi per almeno due anni.
La risposta n. 204 del 25 giugno 2019 fa presente che, secondo il DL 22/2019, il rientro in Italia del cittadino nell’anno 2019 non soddisfa la citata condizione della residenza fiscale fuori del territorio dello Stato per almeno due periodi d’imposta.
Però, circa la mancata iscrizione all’Aire per due periodi d’imposta precedenti il trasferimento nel territorio dello Stato, qualora il contribuente sia in grado di provare la sua residenza estera dal 2016, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 4 della Convenzione tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni (ratificata in Italia con legge 5 novembre 1990, n. 329), e sempreché risultino soddisfatti gli altri requisiti richiesti dalla norma, può essere ammesso a beneficiare dell’agevolazione in esame.
La materia, si ricorda, è oggetto di modifica da parte del Dl Crescita (art. 5, comma 1, D.L. n. 34/2019), in vigore dal 1° maggio 2019 ed in corso di conversione in legge.
Le modifiche trovano applicazione “a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto” e, pertanto, per i soggetti che acquisiscono la residenza fiscale nel territorio dello Stato dal periodo d’imposta 2020.
Nel caso oggetto della risposta n. 207, sempre del 25 giugno 2019, un ricercatore assunto in un’Università italiana nel 2018, rientrato dopo aver svolto dal 2014 attività di ricerca all’estero, fa presente di non essersi mai iscritto all’Aire.
Per incentivare i ricercatori e i docenti residenti all’estero ad esercitare la loro attività in Italia, l’articolo 44 del Dl n. 78/2010 esclude dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo il 90% degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che, in possesso di titolo di studio universitario o equiparato e non occasionalmente residenti all’estero, abbiano svolto documentata attività di ricerca o docenza all’estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi e che vengono a svolgere la loro attività in Italia, acquisendo la residenza fiscale nel territorio dello Stato.
Tale normativa è stata modificata recentemente dal DL 34/2019 – Decreto Crescita – che stabilisce: “I docenti o ricercatori italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE) rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere ai benefici fiscali di cui al presente articolo purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui all’articolo 16, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147”.
Di conseguenza, i docenti e i ricercatori rientrati fiscalmente in Italia entro il 31 dicembre 2019, anche mai iscritti all’Aire, possono fruire del regime agevolativo dal 2019 se dimostrano la residenza fiscale all’estero per i due periodi d’imposta precedenti sulla base delle regole dettate dalle singole Convenzioni internazionali.
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