Reddito di cittadinanza: sequestro e indagine penale a carico di chi non abbia dichiarato che il coniuge è stato condannato per reato con aggravante mafiosa. Errore non scusabile anche se nel modulo INPS non vi è uno specifico riferimento all’aggravante.
E’ stato confermato il sequestro preventivo disposto dal Gip nell’ambito di un’indagine a carico di una donna che, al fine di percepire il reddito di cittadinanza, aveva omesso di dichiarare che un componente del suo nucleo familiare era stato condannato in ordine a un reato con aggravante mafiosa.
L’indagata si era rivolta alla Suprema corte per impugnare la decisione del Tribunale del riesame, confermativa della misura cautelare.
La stessa aveva sollevato un unico motivo di ricorso, evidenziando che nel modulo di domanda INPS per accedere al RdC non era affatto specificato il riferimento all’aggravante di cui all’art. 416 bis1 del Codice penale, nel senso che nella modulistica erano richiamati solo gli art. 270 bis, 280, 289 bis, 416 bis, 416 ter, 422 e 640 bis, senza alcun cenno alla predetta circostanza.
Il suo errore, quindi, doveva qualificarsi come scusabile e invincibile.
Con sentenza n. 34121 del 15 settembre 2021, la Terza sezione penale della Corte di cassazione ha respinto l’impugnazione dell’indagata, giudicando il relativo ricorso inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Gli Ermellini hanno ritenuto che nel caso in esame non fosse configurabile né una violazione di legge né un’apparente motivazione, atteso che il Tribunale del riesame aveva adeguatamente illustrato le ragioni poste a fondamento della propria decisione, attraverso una valutazione critica degli elementi indiziari a sua disposizione.
Era infatti pacifico che la donna, nella domanda volta al conseguimento del reddito di cittadinanza, avesse omesso di dichiarare che il coniuge era stato condannato per delitti aggravati ai sensi dell’art. 416 bis1 c.p.
Attraverso l’omissione di tale dichiarazione, la stessa aveva ottenuto il beneficio economico richiesto, percependolo da aprile a ottobre 2020.
Così come riconosciuto in sede di riesame, era stato integrato il fumus del reato di cui all’art. 7 della Legge n. 26/2019, che punisce la condotta di chi, al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito di cittadinanza, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute.
Per quel che concerne, poi, l’obiezione difensiva secondo cui, nel modello INPS per richiedere il RdC, non erano indicati, tra i reati ostativi del richiedente o del coniuge, quelli con aggravante mafiosa, il Tribunale del riesame aveva ben replicato richiamando il principio “ignorantia legis non excusat”.
Tale richiamo era stato pertinente, posto che la modulistica utilizzata aveva una funzione solo esemplificativa e di certo non poteva superare o circoscrivere il tenore delle previsioni normative volte a disciplinare i presupposti per il conseguimento del reddito di cittadinanza.
A prescindere dal tenore letterale del modulo, infatti, gli oneri dichiarativi a carico della richiedente erano pur sempre quelli imposti dalla normativa di riferimento.
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