L’appello ripropone questioni già prospettate in primo grado e disattese dal giudice di prime cure ma indentifica specificamente i punti cui si riferiscono le doglianze e le ragioni essenziali?
Non può essere considerato inammissibile per genericità dei motivi.
Ciò in considerazione della natura di mezzo di impugnazione di merito, diretta naturalmente ad una piena revisio prioris instantiae, nonché del principio del favor impugnationis.
Ai sensi di quest’ultimo, infatti, l’esigenza, in sede di appello, di specificità del motivo di gravame ben può essere intesa e valutata con minore rigore rispetto al giudizio di legittimità.
E’ quanto sottolineato dalla Corte di cassazione, Terza Sezione penale, nel testo della sentenza n. 30388 del 18 luglio 2016, in cui, dopo aver dato atto dell’esistenza, in materia, di due orientamenti contrastanti, i giudici di legittimità dichiarano di aderire alla lettura meno rigorosa rispetto all’altro indirizzo secondo il quale l’ammissibilità dell’appello postula una critica puntuale delle argomentazioni poste alla base della sentenza impugnata.
La peculiarità del giudizio di appello – ha continuato la Corte – è proprio quella di avere ad oggetto la riproposizione delle medesime questioni prospettate e respinte in primo grado ed una nuova valutazione degli elementi probatori ivi acquisiti.
Ed infatti, non si verte in un caso di ricorso di legittimità, bensì di una impugnazione di merito, che per natura è diretta ad una piena revisione prioris instantiae, nei limiti del devoluto.
E’ facoltà delle parti, in detto contesto, rivolgere al giudice di secondo grado le stesse istanze eventualmente svolte e disattese in primo grado, non essendovi alcuna preclusione ad una piena rivisitazione nel merito.
La riproposizione delle stesse questioni, in definitiva, non può essere di per sé considerata come genericità dei motivi di appello.
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