E' possibile ricorrere dinnanzi al giudice tributario anche in caso di provvedimenti adottati in autotutela che, con esplicazione delle concrete ragioni che li sorreggono, portino a conoscenza del contribuente una ben determinata pretesa tributaria.
E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con sentenza n. 14243 dell'8 luglio 2015, con cui è stato accolto il ricorso di una società contribuente, avverso la pronuncia della Commissione regionale di inammissibilità dell'appello contro le sanzioni irrogategli con decisione della Ctp.
A detta della Ctr, in particolare, l'appello era da dichiararsi inammissibile poiché l'atto di irrogazione delle sanzioni era divenuto definitivo e la cartella esattoriale riproduceva l'importo ricalcolato dall'amministrazione finanziaria a seguito di istanza in autotutela.
Nell'accogliere il relativo motivo di ricorso, la Cassazione ha censurato la ritenuta inammissibilità del ricorso avverso l'atto di autotutela, sull'assunto che non fosse ricompreso nell'esplicito novero degli atti impugnabili davanti alla Commissione tributaria.
Invero – chiarisce la Suprema Corte – l'elencazione dei provvedimenti ricorribili dinnanzi al giudice tributario (di cui all'art. 19 del D.lgs. 546/1992), non esclude l'impugnabilità di atti nella stessa non ricompresi, ma comunque contenenti la manifestazione di una compiuta e definita pretesa tributaria, come, per l'appunto, i provvedimenti in autotutela.
La sopra menzionata elencazione deve essere infatti interpretata alla luce delle norme costituzionali di buon andamento della p.a. e di tutela del contribuente (artt. 97, 24 e 53 Cost.), offrendo la possibilità a quest'ultimo di rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta l'Amministrazione manifesti la convinzione che il rapporto tributario sottostante debba essere regolato in termini che lo stesso contribuente ritenga di contestare
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