La misura interdittiva, funzionale alla possibilità di reiterazione del reato, deve essere revocata se il commercialista si è dimesso dall’incarico pubblico che gli ha permesso l’appropriazione indebita.
La Cassazione, con la sentenza n. 4529 del 3 febbraio 2020, ordina la reintegra.
La Corte non ha rinvenuto una motivazione adeguata del pericolo di reiterazione e ciò anche a prescindere dalla sopravvenuta cessazione dell'incarico rivestito dall'imputato.
Spiega, infatti, che affinché sussista il pericolo di reiterazione è richiesto che debba essere non solo concreto - fondato cioè su elementi reali e non ipotetici - ma anche attuale, dopo l'introduzione di detto requisito ad opera della legge 16 aprile 2015, n. 47: “in assenza dell’indicazione di elementi concreti che denotino l’inserimento attuale dell’imputato in un sistema di improprio utilizzo di risorse di provenienza pubblica, l’ordinanza deve essere annullata senza rinvio…”
In un altro passaggio della sentenza, la Cassazione interviene, poi, con un rilievo sull’ordinanza in oggetto: “Il riferimento alla competenza professionale di commercialista quale indice soggettivo di pericolosità è una affermazione che non può essere condivisa, non potendosi fare discendere dalla mera competenza professionale il pericolo della commissione di nuovi reati, senza evidenziare l'attualità del suo inserimento in un contesto operativo criminale che dia concretezza al ravvisato pericolo, tenuto conto oltre che del suo stato di incensuratezza anche del ruolo subalterno e limitato nel tempo (dal marzo al novembre 2018) che, secondo la stessa motivazione dell'ordinanza impugnata, il predetto avrebbe avuto nei fatti per cui si procede, rispetto ai soggetti ritenuti ideatori ed esclusivi beneficiari delle contestate distrazioni”.
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