La dicotomia di opinioni circa gli studi di settore vede i professionisti contrari e le categorie di commercianti e artigiani favorevoli allo strumento di “verifica statistica” dei redditi. Anche la proposta di Fassina, responsabile fiscale del partito democratico, di abolire gli studi con l’allargamento della platea di minimi ai contribuenti che fatturano fino a 100mila euro, trova poco propensi i professionisti.
Il presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, Siciliotti, afferma: “Sull’opportunità di privilegiare il redditometro piuttosto che uno strumento meramente statistico, come sono gli studi di settore, siamo perfettamente d’accordo e lo andiamo ripetendo da più di un anno”.
Allo stesso modo, la presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro, Marina Calderone, sostiene che “Gli studi sono certamente un sistema che ha dimostrato di non reggere ai cambiamenti in atto nei mondi che dovrebbero essere chiamati a rappresentare” e aggiunge che “se venissero utilizzati come strumenti di selezione andrebbe anche bene, ma spesso gli uffici li utilizzano come strumenti di accertamento diretto e così non può essere”.
Di contro, il vice direttore generale di Confesercenti, Bussoni, si dice favorevole agli studi che rappresentano uno strumento di collaborazione valido tra amministrazione e contribuenti.
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