In materia di responsabilità professionale dell’avvocato conseguente alla tardiva impugnazione di una sentenza penale di condanna, alla quale faccia seguito l’impossibilità per il cliente di ottenere in sede di appello una condanna a pena minore, il danno da risarcire in favore del condannato, di natura non patrimoniale, va a ristorare la sofferenza legata al protrarsi di una detenzione che non può tuttavia considerarsi ingiusta.
Il che comporta che i criteri assunti dalla giurisprudenza penale per la liquidazione del danno da ingiusta detenzione, non possono essere acquisiti in modo automatico in sede civile, ma necessitano di un adattamento alla particolarità della situazione, che il giudice di merito è chiamato a compiere, trattandosi di una valutazione equitativa.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, accogliendo le ragioni di una compagnia assicurativa avverso la richiesta di manleva per responsabilità di un legale, il quale, appellando tardivamente la sentenza di condanna penale del proprio cliente, aveva determinato l’impossibilità per quest’ultimo di fruire del patteggiamento della pena e conseguente diminuzione della reclusione.
Pertanto il giudice del rinvio, che dovrà procedere ad una nuova liquidazione del danno – prosegue la Suprema Corte cassando la pronuncia impugnata - è tenuto ad effettuare un congruo taglio della cifra stabilita nella sentenza impugnata, alla luce degli elementi della vicenda concreta, ossia, la durata effettiva della detenzione, i reati per i quali è intervenuta la condanna, la situazione personale dell’imputato ed il suo comportamento.
Né l’avvocato – conclude infine la Corte con sentenza n. 12890 del 15 giugno 2016 – può rivalersi sulla propria assicurazione, trattandosi nella specie di danno non patrimoniale, che non può (come invece stabilito dai giudici di merito) trasformarsi in “patrimoniale” nel momento in cui viene liquidato.
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