E' incostituzionale il diniego automatico al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro in caso di condanna per reati di piccolo spaccio e vendita di merci contraffatte di lieve entità: va valutata, in concreto, la pericolosità del richiedente.
Così la Consulta nella sentenza n. 88 depositata l'8 maggio 2023, con cui ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione (D. Lgs. n. 286/1998), nella parte in cui ricomprende, tra le ipotesi di condanna automaticamente ostative al rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro, anche quelle, pur non definitive, per fatti di lieve entità, senza prevedere che l’autorità competente verifichi in concreto la pericolosità sociale del richiedente.
Questo in riferimento ai reati di piccolo spaccio e di vendita di merci contraffatte.
Si tratta della disciplina, che - per gli stranieri privi di legami familiari - fa discendere dalle condanne previste dal citato art. 4, la conseguenza automatica del diniego di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno (ovvero, ancora, della sua revoca).
La Consulta si è così pronunciata in riferimento ai giudizi di legittimità promossi dal Consiglio di Stato con due distinte ordinanze di contenuto analogo, nel contesto di altrettante cause avviate da alcuni stranieri, la cui richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro era stata respinta per effetto delle condanne per i predetti reati.
Dopo aver evidenziato come vada riconosciuta al legislatore un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale, i giudici costituzionali hanno anche rammentato come tale discrezionalità non sia assoluta, dovendo rispecchiare un ragionevole e proporzionato bilanciamento di tutti i diritti e gli interessi coinvolti.
A fronte della minore entità dei fatti di reato considerati, in particolare, l’automatismo del diniego in questione è stato ritenuto manifestamente irragionevole.
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