Le due sentenze della cassazione, la n. 27569 e la n. 27574 depositate il 20 novembre, si occupano delle conseguenze derivanti dall’utilizzazione e dall’emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Con la prima sentenza, la n. 27569/08, la Cassazione ritiene che una contabilità inattendibile non consente un accertamento analitico. La Corte ricorda l’importante regola secondo cui la dichiarazione fiscale è una dichiarazione di scienza, senza efficacia negoziale o confessoria, e l’accertamento ha solo lo scopo di quantificare gli utili effettivi e non quelli che appaiono dalla contabilità e dall’integrazione della stessa con elementi non risultanti dalle scritture. Perciò non si possono aggiungere alcuni ricavi contestati (peraltro inesistenti) al reddito dichiarato dalla società. L’accertamento può essere solo di tipo sinteitco-induttivo, finalizzato a individuare l’entità dell’utile che il contribuente può avere conseguito.
La sentenza n. 27574/08, invece, riguarda la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto e afferma che l’ordinamento esige la corretta identificazione di entrambi i contraenti indicati in fattura, anche ai fini dei controlli incrociati. Se poi il fisco ha documentato l’inconsistenza operativa dell’emittente la fattura, spetta a chi a portato l’Iva in detrazione l’onere della prova che la prestazione è stata eseguita e che sia stata effettuata da chi ha emesso la fattura.
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