Omessi contributi E’ bancarotta

Pubblicato il 05 agosto 2016

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta, respingendone il relativo ricorso, del rappresentante di una s.r.l. che aveva sistematicamente omesso di versare contributi allo Stato, così aggravando, mediante la crescente esposizione debitoria con l’Erario, lo stato di dissesto della società.

La Corte ha altresì confermato la condanna di consulenti ed amministratori della medesima azienda per bancarotta fraudolenta documentale, anche se la contabilità risultava solo confusa.

Bancarotta fraudolenta documentale per amministratori e consulenti

Sul punto, infatti, gli ermellini hanno chiarito che sussiste reato di bancarotta fraudolenta documentale, non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili siano state tenute, ma anche quando gli accertamenti da parte degli organi fallimentari siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza.

Ora nel caso di specie – sentenzia la Suprema Corte – le molto consistenti e ripetute lacune documentali non possono che integrare il delitto in questione, anche sotto il profilo del dolo, che per costante giurisprudenza è qui individuato nel dolo generico. Si richiede, in particolare, la consapevolezza che la confusa tenuta della contabilità possa rendere impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio societario.

Bancarotta fraudolenta per imprenditore

Quanto invece all'addebito di bancarotta fraudolenta per l’imprenditore ricorrente, la Corte di legittimità ha ritenuto ampiamente dimostrata la sussistenza dell’elemento psicologico.

In particolare, in tema di bancarotta fraudolenta – chiarisce – sussiste il dolo richiesto, qualora gli amministratori cagionino il dissesto mediante abusi ed infedeltà nella carica ricoperta, ovvero con atti intrinsecamente pericolosi per la salute economico – finanziaria dell’impresa, che possono consistere anche in una condotta omissiva produttiva di un depauperamento non giustificabile. L’elemento soggettivo richiesto, non è dunque la volontà diretta a provocare lo stato di insolvenza, essendo sufficiente la coscienza e volontà del comportamento sopra indicato.

Nell'ipotesi in esame – conclude la quinta sezione penale con sentenza  n. 34423 del 4 agosto 2016 – è indubbio che il sistematico omesso versamento di contribuiti, importando addebito di interessi moratori e sanzioni pecuniarie, si sia tradotta in una condotta omissiva dannosa per lo stato di salute della società, per averne aggravato lo stato di dissesto e, pur non avendo portato al fallimento, ha comunque inciso come concausa sul suo verificarsi. 

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