Un uomo era stato riconosciuto responsabile in ordine ai reati contestatigli di concorso in rapina e porto d’armi con decisione emessa dal Giudice per le indagini preliminari, poi confermata dalla Corte d’appello.
Questi si era opposto alla citata statuizione promuovendo ricorso in Cassazione per lamentare, in primo luogo, una mancanza di illogicità nella motivazione in ordine al profilo della sua identificazione quale autore della rapina in danno della persona offesa.
La specifica doglianza era rivolta alla parte della decisione in cui i giudici di merito avevano ritenuto rituale e valida l’identificazione dell’accusato effettuata mediante Facebook e senza alcun successivo riconoscimento.
Secondo il ricorrente, la Corte territoriale non aveva superato i profili di incertezza e di ragionevole dubbio circa l’individuazione dell’imputato quale concorrente nel reato di rapina.
Motivo non accolto dai giudici della Suprema corte, secondo i quali, in realtà, erano state riproposte delle censure già sostanzialmente prospettate in sede di gravame sulle quali la Corte d’appello aveva esaurientemente risposto.
La Cassazione, in particolare, ha sottolineato di non poter sindacare il contenuto del convincimento dei giudici di merito, ma solo la correttezza delle affermazioni, la logicità dei passaggi nonché la rispondenza degli enunciati alle doglianze proposte.
E l’obbligo di motivazione, nella specie – ha concluso la Corte di legittimità nella sentenza n. 45090 del 29 settembre 2017 – era stato esaustivamente soddisfatto.
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